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Cronaca

Frode al fisco da 110 milioni di euro: in manette sei bresciani

Maxi-inchiesta della Guardia di Finanza

Ci sono anche 9 bresciani tra i 16 indagati nell'ambito della maxi-inchiesta della Guardia di Finanza di Vicenza che ha sgominato una banda di “riciclatori” che ripuliva i proventi delle frodi fiscali di società operanti nel settore dei rottami metallici: l'operazione di polizia giudiziaria, in scena dall'alba di martedì, si è conclusa con 13 arresti, 18 perquisizioni e sequestri per oltre 1 milione e mezzo di euro. In campo più di 80 finanzieri di Vicenza, con l'ausilio di unità cinofile, il supporto di un elicottero della Sezione aerea di Venezia e personale dei gruppi di Padova, Verona e Brescia: il blitz nelle abitazioni, aziende e altri luoghi nelle disponibilità degli indagati nelle province di Vicenza, Venezia, Padova, Verona e Brescia.

Come detto sono 16 gli indagati, con 13 arresti di cui 8 in carcere e 5 ai domiciliari: tra loro ci sono 6 arrestati bresciani e alcuni volti noti delle cronache nostrane come i coniugi Giuliano Rossini e Silvia Fornari, di Gussago, già in carcere e già condannati a 4 anni di reclusione per via di un'altra inchiesta, e con il loro il figlio Emanuele (il gip del Tribunale di Vicenza per lui ha disposto i domiciliari). Sempre nell'elenco dei bresciani, già trasferito in carcere anche Maurizio Ceretti, sono invece ai domiciliari Gianluca Dolci e Giuliano Paganotti.

Le indagini

L'operazione rappresenta l'epilogo di complesse investigazioni svolte dal nucleo di Polizia economico-finanziaria di Vicenza, che hanno così consentito di disarticolare un'associazione per delinquere operante tra Vicenza, Padova, Verona, Brescia, Mantova, Milano, Prato, Chieti e Roma, ma con collegamenti anche in Germania, Slovenia e Cina: la “banda” era composta da 16 persone di cui 3 vicentini, 9 bresciani e 4 stranieri, due di nazionalità cinese e altrettanti di nazionalità cingalese. L'indagine è stata avviata a partire dagli approfondimenti a carico di un 51enne originario di Arzignano (Vicenza), sospettato di svolgere l'attività di “money mule” o “spallone”, ovvero di trasportare contanti, frutto di frode fiscale, da e verso l'estero. 

I pedinamenti hanno consentito di intercettare i suoi frequenti viaggi verso la Slovenia, per poi fare subito rientro in Italia: con le successive attività di intercettazione (telefonica, telematica e ambientale), indagini bancarie e altri riscontri operativi è stata ricostruita l'operatività del gruppo criminale, che aveva al vertice il citato arzignanese e i due coniugi di Gussago, operativi nella “piazza” bresciana, nonché da ulteriori 11 complici.

Gli affari

Secondo le ricostruzioni degli investigatori, la banda avrebbe trasportato dall'estero all'Italia (e viceversa) la bellezza di 110 milioni di euro in contanti, attraverso 556 viaggi, in appena un anno mezzo: soldi a quanto pare provenienti da frodi fiscali realizzate da società dedite al commercio di materiali ferrosi. In particolare sarebbero state due le società “cartiere” specializzate nella “produzione” di fatture false, una con sede a Brescia e l'altra a Roma: avrebbero “coperto” gli acquisti in nero effettuati da altre 25 società con sedi nelle province di Vicenza, Verona, Rovigo, Brescia, Mantova, Bolzano, Alessandria, Roma, Milano e Torino.

I clienti saldavano le false fatture attraverso bonifici alle “cartiere”, le quali a loro volta bonificavano il denaro ricevuto a favore di società estere: i veri e propri “punti nodali” dell'attività di riciclaggio erano una società di Hong Kong e un'altra società belga. Il denaro inviato all'estero veniva successivamente “retrocesso” ai clienti italiani attraverso l'utilizzo di uno “sportello bancario abusivo” della cosiddetta “China underground bank”, quello che viene ritenuto una sorta di “circuito bancario informale e segreto – si legge in una nota della GdF – con numerose filiali sparse sul territorio nazionale e sospettato di muovere ingentissime quantità di denaro verso la Cina, offrendo servizi speciali per clienti speciali”.

I reati

Lo sportello abusivo sarebbe stato gestito da un 38enne cinese, residente a Vigonovo (Venezia), formalmente impiegato in una ditta del Centro Ingrosso Cina di Padova: sarebbe stato lui ad organizzare la consegna del contante agli spalloni in varie località d'Italia e all'estero. I contatti con l'intermediario cinese sarebbero stati tenuti esclusivamente dai vertici dell'organizzazione, il 51enne arzignanese e i due coniugi di Gussago. I vari membri del sodalizio criminale dovranno rispondere delle accuse di riciclaggio e autoriciclaggio di denaro: tre indagati bresciani, quali amministratori di fatto o di diritto delle sue società cartiere, sono anche accusati del reato di emissione di fatture false.

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