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Cronaca Gavardo

Morta carbonizzata in ospedale: "Bruciò le cinghie per liberarsi"

Il pauroso incendio in cui morì Elena Casetto

Con un accendino, recuperato chissà dove, avrebbe cercato di bruciare le cinghie che la legavano al letto, per liberarsi: le fiamme avrebbero poi avvolto il lenzuolo e il materasso e, a causa del fumo e del calore, avrebbero fatto collassare il controsoffitto che a sua volta avrebbe rotto alcuni tubi, riempiendo di ossigeno la stanza e scatenando quindi una trappola mortale. In quell'inferno di fuoco, alla Torre 7 dell'ospedale Papa Giovanni di Bergamo, il 13 agosto 2019 la giovane Elena Casetto - aveva solo 19 anni - morì carbonizzata.

E' questo quanto emerso dalla nuova udienza - giovedì 30 marzo - che vede imputati, accusati di omicidio e incendio colposo, due dipendenti (oggi 31 e 32 anni, di Paderno Dugnano e Lissone) della Gsa, la società che gestiva il servizio antincendio in ospedale. Secondo l'accusa sarebbero intervenuti in ritardo e quindi sarebbero in qualche modo coinvolti nel decesso della ragazza: per la difesa, invece, il rogo sarebbe divampato in tempi così rapidi da non consentire alcun intervento tempestivo.

Le testimonianze

Per domare le fiamme fu decisivo l'intervento dei Vigili del Fuoco. In aula è stato ascoltato, come testimone, anche Andrea Foggetti, responsabile del Nucleo investigativo antincendio e quel giorno intervenuto al Papa Giovanni. Le perizie e la sua stessa testimonianza - va ricordato che, in ambito d'indagine, l'incendio venne simulato in sicurezza in un'altra stanza del nosocomio - avrebbero confermato il clamoroso deflagrare delle fiamme, dovuto a una condizioni di "sovraossigenazione" (per la rottura dei tubi) con temperature da centinaia e centinaia di gradi.

La morte di Elena

Sta di fatto che la povera Elena Casetto quel giorno morì tra le fiamme. Furono gli stessi pompieri a trovare per primi il corpo senza vita della 19enne. La ragazza era ricoverata nel reparto di Psichiatria del Papa Giovanni in situazione di "contenimento", appunto in parte legata al letto, per evitare episodi di autolesionismo. Era stata trasferita a Bergamo dalla Psichiatria dell'ospedale di Gavardo: qui era stata ricoverata dopo un presunto tentativo di suicidio a Osio Sopra. 

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