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"Se la movida fa troppo rumore, il Comune deve pagare i danni"

La sentenza della Corte di Cassazione

Se la movida fa troppo rumore, il Comune deve pagare i danni: è questo, in estrema sintesi, il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione (ultimo grado di giudizio) che rimanda a un ulteriore processo (un appello-bis) la quantificazione del danno subito da Gianfranco Paroli e dalla moglie, residenti al quartiere Carmine e ormai da oltre un decennio coinvolti nella vicenda giudiziaria per la battaglia sul "quieto vivere" e il "diritto al riposo" nonostante i "rumori" della movida.

La vicenda giudiziaria

Gianfranco Paroli è il fratello di Adriano, oggi senatore di Forza Italia ma all'epoca dei fatti (e della causa) sindaco di Brescia. Il Comune venne citato in giudizio proprio dal fratello del sindaco, con un primo risultato a favore della coppia: con sentenza del settembre 2017 il Tribunale di Brescia condannò il Comune a far cessare le immissioni di rumore della movida molesta "mediante la predisposizione di un servizio di vigilanza, organizzato per tutte le sere dal giovedì alla domenica nei mesi da maggio a ottobre, con l'impiego di agenti comunali che si adoperino, entro la mezz'ora successiva alla scadenza dell'orario di chiusura degli esercizi commerciali, a disperdere e allontanare dalla strada le persone che stazionano lungo la stessa".

Non solo: il Tribunale condannò la Loggia anche al pagamento di una provvisionale (un risarcimento) di 20mila euro per ciascun "attore", quindi Gianfranco Paroli e la moglie per un totale di 40mila euro, e altri 9.049,70 (oltre interessi) a titolo di danno patrimoniale. Contro questa decisione il Comune fece ricorso in appello: il 27 ottobre 2020 la Corte di appello di Brescia accolse il ricorso rigettando le richieste di Paroli e moglie. 

La sentenza della Cassazione

Gli stessi hanno proseguito la propria battaglia legale e personale, ricorrendo nuovamente in Cassazione: la sentenza - pubblicata il 23 maggio scorso - di fatto farà giurisprudenza in quanto per la prima volta viene riconosciuto il "danno" provocato dalla movida ai residenti di un quartiere di città. "Il ricorso va accolto - scrivono i giudici della Corte di Cassazione - e la sentenza impugnata (quella della Corte di appello, ndr) deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione". 

"La circostanza - scrive ancora la Cassazione - che il primo giudice avesse predeterminato il facere del Comune convenuto, imponendo ad esso taluni comportamenti implicanti l'adozione di provvedimenti discrezionali ed autoritativi (come l'effettuazione di un servizio pubblico di vigilanza) non impediva però ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla Pubblica amministrazione di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati".

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