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Il nuovo Dpcm in arrivo e le decisioni che Fontana non ha mai preso

Il premier Conte ha presentato oggi alla Camera le misure che dovrebbero entrare in vigore entro mercoledì 4 novembre col nuovo Dpcm. Niente lockdown nazionale, ci saranno tre differenti aree in base agli scenari di rischio, con regole via via più restrittive che dovranno tenere conto di diverse variabili: non solo il celebre indice Rt, ma anche ricoveri, percentuale di tamponi positivi, tempo medio tra sintomi e diagnosi, il numero di nuovi focolai, occupazione dei posti letto sulla base dell'effettiva disponibilità. Scatteranno dunque divieti differenziati a seconda della gravità della situazione, come è giusto che sia. L'inserimento di un territorio in una delle tre aree, con conseguente attivazione automatica delle restrizioni previste, avverrà con un'ordinanza del ministro della Salute. Il dettaglio sulle norme che faranno diventare (oppure no) un territorio "zona rossa" sarà invece chiaro solo a Dpcm firmato.

Dati alla mano, la Lombardia è la regione col secondo indice Rt più alto d'Italia: 2,09. I contagi viaggiano fuori controllo: negli ultimi 15 giorni, la provincia di Monza e Brianza è seconda per incidenza di casi ogni 100mila abitanti (899). Milano è terza a 858. Questi due ultimi territori paiono già destinatari di misure più restrittive, è invece da vedere se sarà coinvolto il resto della regione.

Veniamo ora al ridente mondo della giunta lombarda, che nulla decide e tutto rimanda, aspettando che a prendere le decisioni impopolari, ma necessarie, sia sempre qualcun altro a farlo. Fontana ha iniziato a giocare a nascondino quando c'era da chiudere la Val Seriana (in alternanza col governo Conte, che a sua volta non ha certo brillato per coraggio): da allora non ha più mosso piede da dietro il muro di mascherine dove ha celato la faccia. Arrivando, per non coprire di ulteriore imbarazzo la sua gestione, a sostenere: "E' necessario che i provvedimenti vengano presi a livello nazionale. Se i tecnici ci dicono che l'unica alternativa è il lockdown facciamolo, ma no un lockdown territoriale, se fermiamo Milano si ferma la Lombardia". Dunque, se a Milano gli ospedali sono al collasso, bisogna chiudere anche il Molise; non fa una piega. 

Non ci aspettavamo di certo che Fontana chiedesse la chiusura di Milano già due settimane fa, come De Luca ha fatto per la Campania, sai che tirata d'orecchie da papà Salvini, a capo dell'esercito dei negazionisti dell'emergenza o pseudotali (a seconda di dove tira il vento dell'opinione pubblica, molto più importante dei dati medico-scientifici). Ma almeno non ridursi a invocare il lockdown nazionale, quando è chiaro che il prossimo, eventuale disastro riguarderà solo certe aree (e lui sa quali). Di notte tutte le vacche sono nere, quindi è "necessario che i provvedimenti vengano presi a livello nazionale"; insomma, spegniamo tutto lo Stivale per far scomparire le vergogne lombarde. Sarebbe comunque inutile. Dai malati covid nelle Rsa ai camici al cognato, dal disastro delle Ats al bonus per smantellare i reparti Covid, una lista infinita fatta di errori e inadeguatezza: la vacca della gestione Fontana-Gallera è così nera da essere riconosciuta anche nel buio più pesto. Lì 17.635 lombardi han trovato la morte, metà di quelli dell'Italia intera.

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