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Venerdì, 26 Aprile 2024
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"Ogni anno è come se scomparisse tutta Brescia": i dati shock dell'Istat

Centomila abitanti in meno, ogni anno: sarebbero quasi 200mila senza il saldo migratorio positivo. I dati del nuovo Rapporto annuale dell'Istat

Desenzano, Montichiari, Lumezzane: e poi ancora Rovato e Gavardo. In tutto 100mila abitanti, più o meno: ecco, è come se ogni anno tutti e i cinque paesi si svuotassero completamente. Ogni anno: quindi se il primo anno “saltano” Desenzano, Montichiari, Lumezzane, Rovato e Gavardo, nel secondo dovrebbero scomparire Darfo Boario Terme, Lonato, Chiari, Palazzolo, Rezzato, Mazzano, Salò e Sirmione, nel terzo altri Comuni che tutti insieme fanno 100mila abitanti. Insomma, è come se in due anni scomparisse tutta Brescia.

E' questo il dato, emblematico, contenuto nel Rapporto annuale dell'Istat presentato solo un paio di giorni fa: 400mila persone in meno, in Italia, negli ultimi quattro anni. E la situazione sarebbe ancora peggiore, se non ci fosse il “saldo migratorio” a tenere in piedi la baracca: il calo demografico, dovuto al saldo naturale negativo, è stimato in 187mila unità in meno del 2018, anno in cui sono stati iscritti in anagrafe per nascita 449mila bambini (10mila in meno rispetto al 2017), mentre i cancellati per decesso sono stati 636mila. Rispetto al 2008 le nascite sono diminuite di quasi 130mila unità.

Il Rapporto annuale dell'Istat

“Al 1 gennaio 2019 si stima che la popolazione ammonti a 60 milioni 391mila residenti, oltre 400mila in meno rispetto al 1 gennaio 2015 – si legge nel Rapporto Istat – La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55 milioni 157mila unità (-1,12% rispetto al 2015), mentre i cittadini stranieri residenti sono 5 milioni 234mila (+4,38% rispetto al 2015). Il decremento avviatosi nel corso del 2015 non ha ancora eroso i guadagni di popolazione realizzati nel periodo precedente: il totale dei residenti, infatti, è cresciuto di 1 milione e 738mila unità nel periodo 2008-2019. Questo aumento è interamente attribuibile alla popolazione straniera, cresciuta di 2 milioni e 211mila unità, mentre la popolazione italiana è diminuita di oltre 472mila unità”.

Inverno e declino demografico

Siamo nel pieno del cosiddetto “inverno demografico”, uno status sociale condiviso da buona parte dei Paesi sviluppati, nella fase più avanzata dell'imperialismo: la popolazione invecchia e si fanno sempre meno figli. I dati dell'Istat raccontano che è ormai da quattro anni (appunto, dal 2015) che la popolazione residente è in calo: si entra così nella fase del declino demografico.

Una storica che comincia da lontano. “La popolazione italiana ha perso da tempo la sua capacità di crescita per effetto della dinamicità endogena, quella dovuta alla sostituzione di chi muore con chi nasce – scrive ancora l'Istat – al censimento del 2001 l'ammontare dei residenti in Italia (57 milioni) era di poco superiore a quello del 1981 (56,6 milioni)”. E come abbiamo fatto a raggiungere (e superare) quota 60 milioni?

L'apporto delle migrazioni

“E' stato solo grazie all'apporto positivo delle migrazioni – continua l'Istat – se a partire dalla fine del secolo scorso si è accentuata questa tendenza. Nel decennio scorso la popolazione è tornata infatti ad aumentare in modo rilevante. Al censimento del 2011 i residenti sono circa 59,5 milioni (+2,4 milioni rispetto al 2001, quasi tutti stranieri): al 1 gennaio 2015 la popolazione residente ha raggiunto il massimo di 60,8 milioni”. Il picco più alto mai raggiunto dalla notte dei tempi. Ma ora è tempo del “declino”.

Non è questione di buonismo, ma è un dato matematico. Insomma, è la questione del Pil: meno abitanti uguale meno Pil. Meno lavoratori uguale più pensionati, e una cosa si “mangia” l'altra: per avere un sistema pensionistico efficiente servono almeno due lavoratori per ogni pensionato. Adesso siamo quasi alla pari, e il rischio incalcolabile (ma in realtà inesorabile) è che in pochi anni il numero dei pensionati potrebbe essere più alto di quello dei lavoratori. Nella pratica, mancheranno gli operai (e non solo). Lo sa bene anche Giuseppe Pasini, patron Feralpi e presidente degli industriali bresciani: "Se penso ai miei lavoratori dei prossimi 20 anni - ha detto a Il Foglio - so che non saranno i figli dei miei operai attuali. Ma noi di operai ne abbiamo bisogno, e quelli potranno essere immigrati. E li dovremo formare, li dovremo istruire. Non è questione di buonismo. E' questione di opportunità".

Meno asili, più case di riposo. “L'Italia, insieme alla Francia – si legge ancora nel Rapporto – detiene il record europeo di ultracentenari, quasi 15mila”. Nel 2018 si stima che gli uomini possano contare su una vita media di 80,8 anni, le donne di 85,2 anni: nell'anno precedente la quota degli anziani vissuti in buona salute è pari al 74,1% per gli uomini e del 68,1% delle donne. In altri termini un uomo può godere di buona salute in media 59,7 anni, mentre una donna 57,8 anni.

Il crollo delle nascite

Il saldo naturale si calcola sottraendo il numero delle morti dal numero delle nascita. In Italia è negativo per 187mila unità, nonostante il contributo degli stranieri residenti (che generalmente fanno più figli degli italiani, ma in buona parte si sono già adeguati alla fase avanzata dell'imperialismo che invece, secondo la teoria dello “sviluppo ineguale”, non si è ancora raggiunta in ampie aree dei vari Paesi d'origine). Questo significa che ogni anno, senza l'immigrazione, l'Italia perderebbe una città intera come Brescia. E quindi quasi il doppio degli abitanti di Desenzano, Montichiari, Lumezzane, Rovato e Gavardo. Tutti insieme. 

Una nuova fase di crisi demografica

“Esaurita la spinta propulsiva delle immigrazioni – riprende l'Istat – siamo in una nuova fase di crisi demografica il cui tratto distintivo è una fecondità sempre più bassa e tardiva. Il fenomento della posticipazione della fecondità è in atto dalla metà degli anni '70. Le trasformazioni sociali ed economiche che si sono verificate fino agli anni '80 hanno infatti innescato profondi cambiamenti sul piano del costume e dei modi di vivere”. Tra questi anche nella partecipazione al mercato del lavoro delle generazioni che via via sono entrate nella vita adulta: in particolar modo per le donne. Una donna emancipata infatti può studiare e anche lavorare. E non è costretta a “figliare” in gran numero come ai tempi della società contadina.

Il futuro è adesso

In pochi, pochissimi anni affronteremo delle trasformazioni epocali a cui difficilmente potremmo essere preparati. Il sorpasso degli over 60 rispetto alla fascia di popolazione tra gli 0 e i 29 anni (under 30) è cosa recente. Ma ovviamente inedita nella storia d'Italia, e quasi inedita nella storia dell'uomo (prima di noi, il Giappone). Dicevamo del “bilancio” tra popolazione che lavora e popolazione in pensione: arriverà il tempo in cui non servirà più posticipare l'età pensionabile (tendenza in corso in tutti i Paesi del “Primo mondo”, e oltre), perché non basterà più. E che succederà? Faremo come il Giappone, che già programmato un piano per “accogliere” un milione di immigrati indiani per sopperire alle carenze naturali? O come il Canada, che prevede un “piano” di "ingressi" da 200mila persone l'anno? Oppure gli Stati Uniti, che annunciano muri e fili spinati ma allo stesso tempo, appena oltre il confine con il Texas, impestano il deserto di cartelli che recitano "Buscando trabajadores", ovviamente in spagnolo. Allora forse non dovremmo avere paura dell'altro, del diverso: dovremmo avere paura di noi stessi.

Piccola provocazione conclusiva. Nelle previsioni sulla crescita della popolazione mondiale, si stima che intorno al 2100 si potrebbe raggiungere il picco dei 9 miliardi (e oltre) di abitanti. Poi comincerà a calare. E non ci saranno migrazioni che tengano. Con questo sistema, economico e sociale, potrebbe essere l'inizio di una lenta estinzione. Dunque torna in mente quel vecchio adagio, per una società migliore: a ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni.

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