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Cento anni fa il Disastro del Gleno, la diga che uccise 359 persone

Al via le commemorazioni in musica per il centenario del Disastro

Mancano pochi mesi all'anniversario, a 100 anni dal Disastro del Gleno: 359 vittime per il crollo della diga del 1° dicembre 1923. Avvicinandosi alla commemorazione ufficiale, è la musica a diventare protagonista del ricordo della tragedia di un secolo fa: questo grazie a una serie di concerti che, a partire dal 5 agosto, arricchiranno il calendario degli oltre 50 eventi, inaugurati in primavera, che proseguiranno fino al 9 dicembre. Una serie di date musicali per quella che di fatto è la prima edizione di un vero e proprio festival che si propone di diventare, negli anni, un evento centrale per la Diga del Gleno e il suo territorio.

La commemorazione in musica

Il primo appuntamento è stato sabato 5 agosto, alle 21 a Vilminore, con il ritorno del concerto di pianoforte di Andrea Tonoli: sabato 12, dalle 13.30 alla diga, andrà in scena "Viene giù il Gleno", con Giorgio Cordini, Omar Pedrini, Cristina Donà ed Enrico Bollero. Quattro interpreti della canzone d'autore italiana proporranno i brani più significativi del loro repertorio: i musicisti si uniranno poi per cantare insieme "Viene giù il Gleno", brano composto espressamente da Cordini per ricordare le vittime del crollo della diga.

Da venerdì 18 a domenica 20 agosto appuntamento con "Musica per il centenario": una rassegna di 5 concerti, a cura di Filippo Sala e Davide Albrici, nei luoghi simbolo del disastro, tra cui la stessa diga, Dezzo di Scalve e Bueggio. Venerdì 18, ancora a Dezzo di Scalve, l'esibizione di Tino Tracanna & Panorchestra Distilled: sabato 19 (alle 10) al ponte del Gleno di Bueggio sarà la volta di Cristiano Calcagnile, nel pomeriggio (alle 14) alla diga del Gleno toccherà a Paolo Angeli. Domenica 20 agosto la conclusione della sezione musicale delle celebrazioni: alle 17 alla parrocchiale di Bueggio il duo Alice Morzenti ed Elena Piva, alle 21 al santuario della Madonnina del Dezzo di Colere Silvia Lovicario e Francesco Baiguera.

Il ricordo del Disastro del Gleno

Così viene ricordata la tragedia dalla Commissione Centenario: "In Val di Scalve e in Valcamonica, la parola disastro non significa quello che significa nelle altre valli: qui, Disastro si scrive con la lettera maiuscola e il suo significato è indissolubilmente legato a quanto accadde il 1° dicembre 1923. Di fronte al crollo della diga e alla grandezza delle sue conseguenze tanto che, nelle testimonianze dei sopravvissuti, era una la parola usata per raccontare l'accaduto: disastro. Un termine ricorrente in tutti i racconti, ripetuto di testimonianza in testimonianza fino a diventare nome proprio, a racchiudere in poche sillabe la portata tragica dell'evento, i cui segni ancora oggi sono visibili sul territorio e nella comunità".

La cronistoria della tragedia

Il racconto di quanto accaduto nel testo scritto da Sergio Piffari.

Il 21 marzo 1907 viene presentata dall’avv. Federici, per conto di Giacomo Trümpy, su progetto dell’Ing. Tosana di Brescia, la prima domanda di concessione per lo sfruttamento delle acque del Nembo e del Povo, con uno sbarramento su questo ultimo alla piana del Gleno. Dopo altre istanze il 31 gennaio 1917 la ditta Viganò di Albiate di Triuggio (MI), subentrata nella richiesta, viene autorizzata a costruire una diga con capacità di 3,9 milioni di metri cubi. Nel 1917/18 iniziano i lavori accessori quali tracciamenti, canali, strade, teleferica ecc. Nel 1919 cominciano gli scavi per la costruzione di una diga a gravità, su progetto dell’Ing. Gmür, con capacità di 5 milioni di metri cubi. che prevede l’uso della calce prodotta da un forno posto a fianco della centrale di Valbona. Nel 1920 si dà il via ai lavori per la realizzazione del cosiddetto “tampone” che sbarra nella gola la vallata: insieme alla calce vengono impiegati anche 9.240 quintali di cemento. In agosto muore l’Ing. Gmür e viene assunto definitivamente l’Ing. Giovan Battista Santangelo, palermitano, il quale mette a punto un progetto di diga ad archi multipli da impostare sopra al “tampone” che ormai ha raggiunto i 18-20 metri di altezza. Sarà l’unica diga al mondo con queste caratteristiche.

Nel 1921 la ditta Viganò avvisa il Genio Civile di Bergamo della variazione del progetto e, senza aspettare l’autorizzazione come da prassi errata ma corrente, incarica dei nuovi lavori l’impresa Vita e C. di Corbetta (MI) la quale, stando a numerose testimonianze di operai scalvini, opera in modo scorretto, frettolosamente e senza curarsi della qualità. Anche i materiali usati non sono sempre dei migliori e nei piloni finisce un po’ di tutto quindi nel muro della diga si verificano perdite, ricordate anche dal guardiano Francesco Morzenti. I lavori proseguono nel 1922 e nel 1923; la diga raggiunge per la prima volta la sua massima capacità il 14 ottobre 1923.

Il 1° dicembre 1923 alle ore 7.15 circa, la parte della diga costruita sopra il “tampone” crolla e quasi 6 milioni di metri cubi d’acqua si riversano nella vallata sottostante. La fiumana, seminando dolore e morte, travolge Bueggio, il Dezzo, cinque centrali idroelettriche, Angolo con Mazzunno e Corna di Darfo per terminare la sua corsa nell’Oglio e poi nel lago d’Iseo. Le vittime innocenti, tra Valle di Scalve e Valle Camonica, sono ufficialmente 359, ma è probabile che ve ne siano state altre. Ingenti sono anche i danni materiali causati a privati, industrie e strutture pubbliche. Vengono organizzati comitati per aiutare i danneggiati ed il totale raccolto sarà di circa 4,5 milioni di lire. Per il risarcimento dei danni il governo stanzierà 6 milioni mentre la stessa cifra sarà corrisposta da Virgilio Viganò, proprietario degli impianti, diga compresa; cifre insufficienti e non sempre distribuite equamente.

A Bergamo il 30 dicembre 1923 il Procuratore del Re, Cav. Giusti, incrimina per omicidio colposo Virgilio Viganò, l’Ing. Santangelo, suo progettista, e Luigi Vita impresario costruttore. L’opinione pubblica ritiene da subito il Viganò unico responsabile della tragedia, ma chi ha studiato a fondo la questione, come me, sa che non è il solo. Il processo si apre il 30 marzo 1925 presso la Corte d’Assise di Bergamo e, dopo vari rinvii, si conclude il 4 luglio 1927 con la condanna del Viganò e del Santangelo ad una pena di 3 anni e 4 mesi di detenzione, al pagamento di 7.500 lire oltre alle spese processuali; vengono poi condonati 2 anni e la pena pecuniaria. Assolto il Vita. Tutte le Parti presentano ricorso presso la Corte di Appello di Milano che fissa al 19 novembre 1928 la data del processo. Il 21 giugno 1928 muore per una emorragia cerebrale, a 46 anni, Virgilio Viganò. Il processo di appello si conclude il 27 novembre 1928 con l’assoluzione di Virgilio Viganò, in seguito al suo decesso, e dell’Ing. Santangelo per insufficienza di prove.

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