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Coronavirus Rodengo Saiano

Coronavirus, l'odissea per curare la mamma di Nicole: il tocilizumab l'ha salvata

L'odissea di una famiglia bresciana. La madre di Nicole ha sconfitto il Coronavirus, ma ci sono stati momenti terribili: "Il medico del Civile era in lacrime, mi ha detto di pregare. Io, papà e mio fratello continuavamo a piangere al telefono"

Un racconto lucido e dettagliato di un'odissea tra ospedale e pronto soccorso. È quello che ci consegna Nicole. La sua famiglia è stata travolta dallo tsunami Coronavirus tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo. Una storia a lieto fine, ma piena di ostacoli che fa emergere in maniera nitida tutte le problematiche legate alle difficoltà di accedere alle cure, ma anche solamente di effettuare un tampone, per sapere se si ha contratto o meno l'infezione.

La mamma di Nicole ha 72 anni e ha combattuto e sconfitto il Coronavirus, ma ci sono stati momenti drammatici, in cui si temeva potesse non farcela. La figlia della 72enne, come il fratello, hanno lottato con lei: uniti anche se distanti. Tra centinaia di chiamate per cercare un ospedale che accogliesse l'anziana, quando sembrava che per lei non ci fosse più nulla da fare e appelli su Facebook per cercare un saturimetro dopo la dimissione dal Civile, non si sono mai arresi. Un incubo cominciato lo scorso 29 febbraio, quando la 72enne decide di concedersi un trattamento dalla parrucchiera di paese:

"La parrucchiera l'aveva accolta con la mascherina, dicendole che la sera prima eta stata in pronto soccorso alla clinica San Rocco per febbre e tosse, ma che era stata rimandata a casa. Così il giorno successivo lei era tornata a lavorare e tra le tante clienti c'era anche mia mamma. Le condizioni della parrucchiera sono poi peggiorare ed è stato accertato che aveva il Covid-19. Mia mamma, che aveva già la bronchite (un suo problema che ogni tanto affiora), è stata probabilmente contagiata dalla parrucchiera e all'inizio di marzo ha cominciato a non sentirsi bene" 

Positiva la tampone, viene ricoverata dopo alcuni giorni

Le condizioni della 72enne peggiorano: comincia un infinito giro di chiamate per capire cosa fare e come fosse possibile sottoporre la donna al tampone.

"Ho chiamato tutti i numeri possibili legati all'emergenza Coronavirus. Solo dopo ore Ats risponde e ci dà un numero cellulare diretto: dopo 20 minuti di insistenti chiamate, risponde una dottoressa che si scusa, ci chiede i sintomi e conclude dicendo che se entrambe peggioravamo di richiamarla. Mamma peggiora ancora e martedì 10 richiamiamo tutti i numeri, ma nulla. Il suo medico di base le dice solo di stare a casa, allora chiamo la mia amica, secondo medico di base del paese di mamma e mi dice di portarla alle tende blu del pre-triage appena allestite al Civile."

Così la mamma e il padre di Nicole si recano alle tensostrutture allestite fuori dal nosocomio cittadino. La 72enne è positiva, ma viene nuovamente mandata a casa assieme al marito, risultato invece negativo. Anche le condizioni di Nicole non migliorano, così anche lei decide di sottoporsi allo stesso iter e anche il suo tampone è negativo. Nel frattempo la mamma si aggrava.

"Torno a casa alle 3 di notte, il giorno dopo, cioè il 12, chiamo mia mamma: mi dice che si sente soffocare, richiamiamo tutti i numeri ma nulla di nulla di nulla. La mattina del 13 mio papà e mio fratello che vivono con lei sono disperati e la riportano alle tende blu. In un primo momento sembrano infastiditi, ma quando la vedono scendere a fatica e senza fiato dall'auto le danno il codice rosso e la fanno passare per la lastra. Esito? Polmonite, e, ovviamente, ricovero. Passa la giornata nel capannone al chiuso fuori dalle tende blu con flebo attaccata. In seguito le viene una crisi respiratoria e passa in pronto soccorso dove rimane un'altra mezza giornata: senza farmaci, ma più sotto controllo. Poi si libera magicamente un posto (che ora credo non troverebbe ) e va nella sua stanza in un'ala bellissima dell'ospedale. Era sempre stata molto affaticata e ci chiamava poco, come i medici. Una mattina lei ci dice che era passato per la prima volta il primario e non era contento dei polmoni quindi richiedeva la lastra."

Per la 72enne non c'è posto in terapia intensiva

L'esame evidenzia una situazione complicata: Nicole e la sua famiglia ricevono una chiamata terribile. Dall'altro capo del telefono c'è un medico specializzando del Civile, e non la dottoressa he seguiva abitualmente la 72enne, che le dice: "La lastra mostra un grave peggioramento, sua madre è ancora vigile ma la situazione è precipitata, tentiamo il tocilizumab, il farmaco contro l'artrite reumatoide". Il cuore di Nicole si ferma:

"Il dottore, quasi piange palesemente, scosso anche lui; ringrazio e riattacco. Chiamo mio fratello e mio papà che crollano alla notizia. Mio papà, anch'egli di 72 anni si sente male e non sono nemmeno vicina per sostenerlo, posso solo cercare di calmarlo con le parole. Passiamo il pomeriggio piangendo disperati al telefono fra noi e poi con le persone care, mandiamo messaggi audio di incoraggiamento a mamma pensando che non avrebbe potuto sentirli, finchè la sera lei stessa ci chiama e ci chiede il perché di certi messaggi. Ci dice che non si sente cosi male come dicono, anche se fatica a parlare, ci spiega che le hanno dato un nuovo farmaco e di stare tranquilli che non è ancora nato il virus che 'la fa franca' con lei. La dottoressa che segue mamma ci ha confermato in modo molto più distaccato la situazione disastrosa. Ci dice che mamma ha fatto la prima dose di tocilizumab e il nuovo protocollo al Civile ne prevede 2. Prendo coraggio e le chiedo se avesse bisogno della terapia intensiva e se ci fossero i posti. Mi risponde dispiaciuta che  mia madre ha 72 anni e che stava cercando posto per una ragazza di 35. Le chiedo, allora, cosa fare, e mi ha risposto di pregare. Ho cominciato a piangere e pregare, pregare e piangere, ma poi mi sono fermata, ho chiamato mio fratello per cominciare a cercare un paracadute, un ospedale che avesse
terapie intensive libere.

La ricerca di un altro ospedale e la guarigione

La giovane donna passa due giorni al telefono, chiedendo aiuto a tutti i suoi conoscenti, agli amici degli amici. Una disperata corsa contro il tempo: riesce anche trovare un posto per la madre in una struttura della Toscana, ma viene fermata dalla burocrazia: solo una regione può chiedere ad un'altra regione lo spostamento di pazienti. Anche sua mamma lotta e non si arrende:

"Ormai ero afona e sfinita, quando la dottoressa ci ha chiamati per dirci che il farmaco non aveva dato miglioramenti ma almeno avrebbe fermato la discesa. La mamma era stabile: una buona notizia. Dopo qualche giorno di stabilità comincia il miglioramento. Le tolgono repentinamente l'ossigeno e da un giorno all'altro ci dicono che torna a casa. Cosi il 25 Marzo è uscita dall'ospedale: quando è entrata a casa aveva il fiato corto e ha avuto subito un picco insulinico dovuto ai farmaci e le penne (per l'insulina, ndr) che le avevano lasciato erano praticamente scariche, quindi abbiamo dovuto cercare una farmacia di corsa e chiamare l'ospedale per sapere il dà farsi. Un po' allo sbaraglio insomma. La sua casa per fortuna è grande e l'abbiamo separata da mio papà, ma  l'ideale sarebbe fare un tampone a tutti i membri della famiglia - lei che lo farà nuovamente fra 15 giorni - ma fare i tamponi in Lombardia è ormai impossibile."

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