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Coronavirus, primo caso nel Bresciano già a gennaio: dove tutto è cominciato

Primi casi di Coronavirus già a gennaio: in provincia di Brescia il primo a Montirone. Questo quanto emerge dalla prima caratterizzazione epidemiologica della Lombardia

In tutta la Lombardia c’erano già quasi 400 casi di positività al Covid-19 prima ancora della convenzionale deflagrazione dell’epidemia, fissata al 19 febbraio a Codogno: di questi, ben 38 erano bresciani. Lo riferiscono i 16 ricercatori di università, Ats e aziende sanitarie che hanno pubblicato la prima caratterizzazione epidemiologica della diffusione dell’epidemia lombarda: il lavoro, consultabile su ArXiv, è stato coordinato da Danilo Cereda, della direzione generale Welfare di Regione Lombardia, Francesca Rovida della Fondazione IRCSS Policlinico San Matteo di Pavia e Marcello Tirani dell’Agenzia di tutela della salute di Pavia. Tra i 16 ricercatori coinvolti c’è anche un bresciano, del dipartimento di epidemiologia dell’Ats di Brescia.

Primi casi già a gennaio

Già le premesse dicono tutto: “L’epidemia in Italia è cominciata molto prima del 20 febbraio. Quando è stato individuato il primo caso di Covid-19, il contagio si era già diffuso in diverse località della Lombardia meridionale”. La ricerca mette in evidenza come al 19 febbraio fossero già 388 i casi di positività al Coronavirus: 132 a Lodi, 91 a Bergamo, 59 a Cremona, 38 a Brescia, 39 a Milano, 21 a Pavia. Il primo caso accertato risalirebbe addirittura al 1 gennaio: come scrive Bresciaoggi, il primo caso bresciano il 25 dello stesso mese, in territorio di Montirone, poi Manerbio (il 5 febbraio), Botticino, Cazzago San Martino, Erbusco, Orzinuovi e Pian Camuno.

I principali focolai in Lombardia

Lo studio in parte risponde alle tante domande della comunità scientifica sull’eventualità di un vero “paziente zero” in Lombardia, che di certo non è tra quelli individuati nel cluster di Codogno, dal 20 febbraio in poi (che casomai sarebbe stato il “paziente 300”). La ricerca conferma comunque i tre principali focolai dell’epidemia lombarda: Codogno e il Lodigiano, la Bassa Bergamasca e la provincia di Cremona. Fino ad arrivare ad Alzano Lombardo e Orzinuovi, che secondo l’Istituto superiore di Sanità già il 2 marzo scorso sarebbero dovuti diventare zona rossa.

Virus: tasso di riproduzione di 3.1

Dai dati epidemiologici (aggiornati all’8 marzo scorso, quando erano meno di 6.000 i casi accertati in Lombardia) emerge un’età media di 69 anni per i contagiati, con il 47% dei soggetti positivi ospedalizzati e il 18% che necessitano di terapia intensiva. Il tasso di riproduzione del virus è stato stimato in 3.1, quindi più di tre contagi a opera di un solo contagiato. “Non sono state rilevate – scrivono ancora i ricercatori – cariche virali diverse tra soggetti sintomatici e asintomatici”. Da qui l’importanza di stare a casa, evitare i contatti, proseguire con il distanziamento sociale che è l’unica forma di prevenzione del contagio di cui oggi siamo capaci.

“La possibilità di trasmettere il Covid-19 è davvero molto elevata – concludono i 16 ricercatori lombardi – e il numero di casi critici potrebbe diventare insostenibile in tempi brevi per il sistema sanitario. Abbiamo osservato un decremento della diffusione dei contagi, probabilmente a causa di una maggiore consapevolezza della popolazione e dei primi effetti degli interventi di contenimento. Le strategie di contenimento aggressivo sono requisiti fondamentali per controllare il diffondersi del Covid-19 e le conseguenze catastrofiche che avrebbe sul sistema sanitario”. 
 

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