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Giovanni Pizzocolo

Giornalista Brescia

Donne uccise e ridotte a oggetto: il virus che ci portiamo dentro

Negli ultimi giorni, a seguito degli ennesimi casi di femminicidio in Italia, si è a lungo dibattuto di tematiche quali misoginia, machismo e patriarcato. Problemi enormi, quanto annosi: ma il fatto che se ne parli solo al verificarsi degli omicidi più efferati, dimostra innanzitutto che non c'è nessuna intenzione politica di affrontarli alla radice. Tutto diventa dibattito da talk show, giusto il tempo della prossima vittima da dare in pasto all’audience. Sperare inoltre che qualcosa possa cambiare in un paese cattolico e 'pontificio', con tanto di governo reazionario da "dio, patria e famiglia", è pura illusione; utopia.

Patriarcato, misoginia e machismo sembrano essere una prerogativa dei paesi 'mediterranei'. Stando a questa narrazione comune, però, non si spiega come mai Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Lituania (ma l'elenco è lungo) siano messe peggio dell'Italia e della Spagna, se si guarda al numero di donne uccise dal partner, in rapporto alla popolazione femminile totale (dati Eurostat). Ci sono dunque altri aspetti, che travalicano i confini nostrani e caratterizzano l'Europa intera. 

Partiamo dalla prospettiva storica. Nei secoli, l'uomo ha sempre cercato di sottomettere la donna, di ridurla a sua proprietà (se è stata creata da una sua costola, in fondo gli appartiene per diritto divino). Il carattere libero e polimorfo della sua sessualità lo ha sempre disorientato, se non spaventato  – lui, così prevedibilmente fallocentrico – e ha sentito il bisogno di frenarlo con i veti della repressione religiosa e della sottomissione all'unico destino biologico della maternità. 
Come se non bastasse, quella occidentale è una cultura giudaico-cristiana fondata sul senso di colpa e sul capro espiatorio. I due concetti sono correlati e pervadono ogni ambito delle nostre relazioni di comunità. Ma restiamo focalizzati sui femminicidi, dove – nella quasi totalità dei casi in cui a interrompere il rapporto sia una donna – la separazione non viene mai accettata come la semplice fine del suo amore: dev'esserci per forza un colpevole, lei – Eva che coglie la mela – deve essere per forza colpevole. E, in una società dove i rapporti di potere non sono paritari, l'elemento più debole sarà chiamato a pagare per la propria Colpa. L'uccisione dell'ex partner laverà ogni male, l'onore e la dignità maschile verranno salvaguardati di fronte alla comunità, l'ordine (i rapporti di potere) sarà ristabilito. 
Questa colpevolizzazione basilare non si rispecchia solo nella violenza, ma, essendo forma mentis, inizia già dal linguaggio o, meglio, inizia proprio dal linguaggio. Ne siamo talmente abituati che non ci facciamo più caso. Un giornale nazionale (La Stampa) è arrivato a titolare dopo l'omicidio di Senago: "Al paese serve un'opera di educazione profonda: dobbiamo insegnare alle ragazze a salvarsi". Colpevole perfino di non sapersi difendere.

L'altro aspetto, pressoché da tutti ignorato, riguarda la considerazione della donna nell'immaginario del consumismo di massa. Se, per sua natura, il capitalismo ci trasforma tutti in un corpo da mercificare sull'altare del profitto, quello della donna è diventato una miniera d'oro dal boom economico in poi, causando di fatto – attraverso pubblicità e televisioni – la riduzione del femminile al proprio corpo, al suo aspetto esteriore, che, se posseduto, diventa per il maschio uno status symbol come lo sono un Rolex e un'auto di lusso. Dalle vallette in tv alle influencer di Instagram, la persona scompare sotto la maschera omologante della bellezza: vestiti, cosmetici, gioielli, chirurgia plastica... dietro il cui riverbero si cela l'annientamento dell'essere come individuo. È un'erotizazzione feticista in cui c'è spazio solo per la soggettività delle pulsioni maschili: la donna/corpo non ha infatti personalità e, quindi, non può essere vista. Puro oggetto di piacere e, in quanto oggetto, da gettare come carta straccia quando non più funzionale allo scopo assegnatole dall'immaginario consumista. Portato all’estremo, è il caso di quanto avvenuto a Giulia Tramontano, una volta rimasta incinta. Il suo compagno l'ha uccisa senza "ira né rabbia né desiderio di vendetta, senza motivazioni", ha dichiarato. Venuto meno l’oggetto di piacere, incapace di scorgere la persona, ha semplicemente deciso di buttarla via.

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