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PCdI Brescia, strage di Piazza Loggia: "La seconda bomba"

Si parta, per intendersi, dalla seconda bomba, quella di Brescia. A cinque anni di distanza da quella di Milano mostrava una radicale mutazione di strategia: non scoppiava colpendo un obiettivo indistinto a incombere minacciosa e fascista su una stagione di tensioni sociali e di riscossa del mondo del lavoro. In Piazza Loggia si colpì una manifestazione sindacale unitaria antifascista e morirono otto comunisti.

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di BresciaToday

La tentazione cui vogliamo resistere è quella di adattarci ad una lettura per così dire 'minimalista' della stagione delle stragi italiane. Secondo tale lettura, avanzata anche da seri storici, per intenderci, democratici, un fattore costante di quegli episodi sarebbe la casualità, tra bombe che scoppiano per errore ed altre che per malfunzionamenti diversi non scoppiano. Tutto ciò a disinnescare una serie di letture politiche e dietrologie che molti, e noi tra loro, vorrebbero produrre mentre cercano un senso compiuto, un disegno avanzato, in quegli atti che ci hanno segnato. E' una lettura, quella minimalista, certamente corredata da una attenta e a volte estenuata conoscenza dei fatti. Ma, conoscendo una a una tutte le formiche che operarono in quegli anni, si corre così un primo rischio, ovvero quello di perdere di vista il formicaio, cioè di essere indotti a rinunciare a quella visione d'insieme di cui mai uno storico dovrebbe fare a meno come obiettivo.

Secondariamente noi non dimentichiamo che uno dei propositi dei cosiddetti registi dello stragismo fu quello di disseminare appositamente il percorso degli investigatori di figure improbabili, di protagonisti inaffidabili, di manovalanza evidentemente raccogliticcia, proprio a rendere poco credibile qualsiasi ricostruzione che non fosse quella che si riferisse a gesti di mitomani o balordi. Resistendo e sottraendoci a quei depistaggi, politici più che giudiziari, non sembri troppo ardito chi intende compiere il percorso inverso, dando ad ogni fatto un significato specifico, eliminando il coefficiente della casualità. D'altro canto l'insieme delle stragi ci fornisce un quadro di intervento puntuale, di pressing sulla politica italiana, intervento che di casuale non ha nulla in quanto agisce diversamente a seconda dei diversi momenti leggendo le dinamiche in atto non solo nelle compagini di governo ma nei singoli partiti. Si parta, per intendersi, dalla seconda bomba, quella di Brescia.

A cinque anni di distanza da quella di Milano mostrava una radicale mutazione di strategia: non scoppiava colpendo un obiettivo indistinto a incombere minacciosa e fascista su una stagione di tensioni sociali e di riscossa del mondo del lavoro. In Piazza Loggia si colpì una manifestazione sindacale unitaria antifascista e morirono otto comunisti. E la collocazione temporale non può lasciare indifferenti perché si era a soli cinque mesi dal varo della linea del compromesso storico da parte del PCI, e Brescia, di quella linea, era un laboratorio. Non ci furono depistaggi immediati e preparati verso i soliti anarchici, quasi a chiarire, se ce ne fosse stato bisogno, che i mandanti e gli obiettivi quasi si dichiaravano, non intendevano celarsi. Era una provocazione sapiente che chiamava alla rivolta. I funerali imponenti per quelle otto vittime, dobbiamo ritenere che fossero ampiamente previsti, e non potevano non esserlo per chi avesse nella memoria quelli per le vittime di Piazza Fontana. Quelle settecentomila persone frementi di indignazione erano destinate a aprire una ferita nella stessa compagine del Partito Comunista impegnato a costruire un'alleanza con la Democrazia Cristiana. Perché quella strage che non poteva non essere definita di Stato doveva vedere tra i collusi alcuni ambienti della stessa DC. Che fare dunque, interrompere quel percorso politico come negli obiettivi della bomba, o continuare su quella strada producendo una spaccatura con quella piazza, altro obiettivo della bomba? Possiamo dirlo oggi, con la certezza e la saccenza di quelli che capiscono troppo tardi, che fummo colti di sorpresa, che forse individuammo il primo di quegli obiettivi ma non il secondo. E quell'incomprensione fu alla base di una rottura del mondo operaio che indebolì i comunisti da un lato e dall'altro portò diritti al terrorismo.

Fu così che nei dieci anni che vanno da Piazza Fontana al rapimento di Moro il processo di rinnovamento della nostra democrazia uscì polverizzato.Ma non fu la debolezza dei milioni di persone che furono messe nel mirino, non fu la fragilità di chi voleva costruire la democrazia a determinare quell'esito. Recitano le scritture "i figli delle tenebre sono sempre più avveduti dei figli della luce". Oggi che sappiamo quanto valga la parola democrazia per coloro fecero di noi poveri brandelli di carne, oggi sappiamo che non possiamo fare passi avanti fintanto che saremo nella Nato, struttura onnipresente in qualsiasi fatto violento della politica italiana, alleato sleale e pericoloso per qualsivoglia processo di pace si intraveda nel nostro futuro. E onoreremo i nostri compagni.

Lamberto Lombardi - Segretario Provinciale PCdI Brescia

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