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Giovanni Pizzocolo

Giornalista Brescia

La riconferma di Fontana dopo gli anni tragicomici della pandemia

Chissà cosa avranno da esultare, lorsignori: è l'astensionismo il primo partito in Lombardia, così come nel resto della penisola. Nelle ultime regionali, si è passati dall'affluenza del 73,1% nel 2018 a un misero 41,6%. I motivi sono molteplici, ma uno svetta su tutti: abbiamo la classe politica più inaffidabile e incompetente d'Europa. Gli italiani non votano più perché non credono più ai politici: come dargli torto. A livello nazionale il giochino ancora regge, grazie al "salvatore della patria" di turno. Stavolta è toccato a Giorgia Meloni, che, come tutti gli altri, si è già screditata a tempo record: dopo aver urlato per anni contro le accise sulla benzina, alla prima manovra di governo ha pensato bene di togliere lo sconto introdotto dal governo Draghi. Chapeau madame, un capolavoro di coerenza.

In Lombardia stavolta si sono superati: la situazione, infatti, era già ridicola in partenza. A Letizia Moratti il centrodestra aveva promesso la presidenza delle Regione, in cambio del suo intervento per frenare il disastro al Welfare di Giulio "Indice Rt" Gallera. Ventun mesi dopo, però, sotto l'imbarazzante guida di Capitan Salvini la Lega si vedeva sprofondare alle elezioni politiche, rimangiandosi la parola data. L'imperativo, a quel punto, era infatti salvare (almeno) il salvabile: la roccaforte lombarda. Moratti l'ha presa proprio bene, ha saluto sbattendo la porta e ha cambiato casacca.

Ecco dunque i tre maggiori candidati. In un paese serio e dignitoso (quindi non l'Italia), dopo la disastrosa gestione Covid il governatore Fontana avrebbe dovuto ritirarsi a vita privata e non farsi vedere mai più in pubblico, invece eccolo ricandidato: non esiste opposizione, si vince facile coi voti di Fratelli d'Italia, a cui in cambio daranno metà degli assessori in giunta.
C'è poi l'autoproclamatosi "terzo polo" (sarebbe comunque il quarto, visto che Renzi&Calenda hanno preso la metà dei voti dei 5 Stelle): candidata è Moratti, spacciata per la Margaret Thatcher de' noantri: senza tornare alla sua esperienza da Ministro dell'Istruzione o allo scandolo sulle consulenze d'oro, ricordiamo en passant le ultime sue perle, come la zona rossa per errori di calcolo nel 2021 o gli anziani mandati negli hub sbagliati a chilometri di distanza da casa, fermi in lunghe file, al freddo, in attesa di essere vaccinati; una gestione esemplare. Non paga, ha poi passato la campagna elettorale a dire che la sanità lombarda è una merda perché sfasciata dal centrodestra, manco lei venisse dalla luna. 
E infine il Pd. Quando uno pensa al Partito Democratico, non gli viene in mente nulla: ecco dunque il candidato ideale, Pierfrancesco Majorino, andato in contro a morte certa per fedeltà alla bandiera. Uomo di provato coraggio, quello è sicuro: tra il disastro di Letta alle politiche e la bella pubblicità del Qatargate, la sua sconfitta non era nemmeno quotata alla Snai.

Godiamoci ora la vittoria dello statista Fontana. La sua lista e la Lega hanno preso in tutto 644mila voti, ma per gli altri 7,7 milioni di lombardi aventi diritto al voto (oltre il 92% del totale) che non se lo sono minimamente filato, di lui resta  – e resterà – una sola un'immagine impressa nella memoria, indelebile e tragicomica, divenuta l'iconica overture agli anni bui del Covid: quando rischiò di strangolarsi nel tentativo di indossare una mascherina. Una figuraccia andata in mondovisione, da Al Jazeera al New York Times.
La 'lotta' di Fontana con la mascherina
Una foto comunque perfetta per i libri di storia (didascalia: "Il governatore spiega come verrà gestita l'emergenza"). Da quel momento sono passati 45mila morti per Covid; triste record italiano. Ora, superata la pandemia nonostante la coppia di strateghi Gallera-Fontana, quello vispo dei due è stato rieletto governatore grazie a logiche di coalizione: 7,7 milioni di lombardi non hanno però dimenticato di cosa è stato (in)capace.
 

La riconferma di Fontana dopo gli anni tragicomici della pandemia

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