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Cronaca

Congresso dell'Onu: studentessa bresciana alla ribalta a New York

Dalla provincia di Brescia alle Nazioni Unite, dove leggerà un discorso sul fenomeno dei flussi migratori e delle conseguenti trasformazioni delle società.

Dalla quinta superiore dell'istituto commerciale Einaudi di Chiari, al congresso delle Nazioni Unite a New York. Michela Bergomi, studentessa diciottenne residente nella Città delle Quadre, è arrivata prima nella sfida redazionale "Global Citizens" promossa dal quotidiano La Repubblica e da United Network sul tema dei flussi migratori e delle trasformazioni sociali. 

Nel concorso, che prevedeva la produzione di un testo da 2.700 battute sul tema dei flussi migratori e delle conseguenti trasformazioni delle società (tema che contenesse almeno un’idea concreta capace di affrontare e risolvere questo fenomeno), la studentessa  ha superato due coetanei romani, Giacomo di Capua e Laura Coppi, che voleranno con lei a New York tra il 20 e il 27 febbraio. 

Michela ha scritto un testo dal titolo “enoizargimmI” (ovvero "Immigrazione" capovolgendo l'ordine delle lettere). Facendo i complimenti alla studentessa, riportiamo in integrale il lavoro pubblicato da La Repubblica@Scuola

Oggi, Ventunesimo secolo. La globalizzazione ha portato il mondo ad essere vicino quasi fosse tornato al suo stato primitivo. Persone connesse da trasporti veloci e mezzi di comunicazione efficaci. La pangea moderna. Guerre, rivoluzioni, movimenti pacifici; grandi nomi hanno lottato per contribuire a conferire maggiore libertà ad ognuno di noi, componendo un ampio mosaico di meravigliosi e variegati colori nonostante l’incompatibilità creatasi tra ciascun tassello. Pigmentazioni della pelle chiare o scure, tenui o accese; colori, persone. L’intenso color vinaccia del sangue, il rosso delle fiamme vive che ardono e portano distruzione. Verde, come il colore del denaro eccessivo di pochi, tanto agognato da chi non ne possiede. Il limpido e cristallino colore dell’acqua che ricorda il perlaceo colore delle lacrime di chi non può averne per dissetarsi. Diventa incredibile pensare che un abisso tanto profondo sia venuto a crearsi in un mondo tanto vicino. Occorre porsi un quesito: che necessità c’è di avere un’identità nazionale quando la stessa inizia a rappresentare un limite per l’uomo? Perché mantenere vivi antichi cliché quasi fossero obbligati, imposti e non rescindibili? Ciò che è diverso dalle proprie abitudini porta l’essere umano a reagire con un meccanismo di autodifesa indotto dalla paura del cambiamento, del distacco dalla propria comfort zone. Il falso mito che non sprona chi ha il potere ad alzare un dito è che le cose stanno così, che non ci si possa fare niente. Ma noi abbiamo il potere di fare. Per quanto si possano portare milioni di persone in salvo in aree pacifiche, il problema sussisterà nella loro terra di provenienza; perché limitarsi a mettere una toppa ad una voragine in continuo ampliamento? La soluzione da me individuata, la backward immigration, propone di muoversi nel senso opposto all'immigrazione nella sua forma attuale, di effettuare spostamenti repentini e significativi di risorse materiali e umane per diffondere la nostra presenza sui territori interessati a macchia d’olio. In questo modo cure mediche e tecnologie avanzate, così come strutture sanitarie e scolastiche, segnerebbero il primo passo di una ripartenza dei paesi del Terzo mondo, offrendo loro la possibilità di allinearsi a quelli in via di sviluppo. Se il concetto umano di cosmopolita esiste, perché non renderlo vero nella sua interezza? Le barriere verranno abbattute, le porte aperte e i due mondi uniti. La backward immigration potrebbe portare alla lenta ripresa del mondo nella sua interezza; questa iniziativa rappresenta il tassello senza il quale il puzzle dello sviluppo umanitario non avrebbe né forma, né colore.

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