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Nuovo codice della strada, Brescia tra i comuni in rivolta: "Va contro sicurezza e ciclisti"

Gli assessori all'ambiente di Brescia, Bergamo, Verona, Vicenza e Padova lanciano un appello a Governo e Parlamento

Il no alla riforma del codice della strada corre da Bergamo a Padova, passando per Brescia. Le assessore e gli assessori all’ambiente dei comuni di Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza e Padova chiedono a Governo e Parlamento di fare dietrofront sul disegno di legge voluto dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, in questi giorni in discussione alle camere. “La sicurezza stradale di pedoni e ciclisti non ha colore politico”, scrivono gli assessori in una nota congiunta: “il testo va rivisto prima che sia troppo tardi”. 

Il disegno di legge, approvato nei giorni scorsi alla Camera e ora all’attenzione del Senato, è diviso in due parti: nella prima modifica l’attuale codice della strada, approvato nel 1992 e poi modificato varie volte negli anni; nella seconda introduce una legge delega che attribuisce al governo il compito di riorganizzare, mediante decreti legislativi, le norme sulla motorizzazione e la circolazione stradale. Sulla carta, la riforma si propone di aumentare la sicurezza stradale. Nella pratica, però, interviene principalmente sulla guida in stato di ebbrezza, sotto l’effetto di stupefacenti oppure con il cellulare o altri dispositivi elettronici, inasprendo pene e sanzioni in particolare in caso di recidiva - cioè dopo la seconda infrazione da parte della stessa persona. Mentre non incide sulle principali cause d’incidente stradale: la velocità (responsabile del 23% degli incidenti mortali del 2023 secondo l’Istat), la distrazione (20%), il mancato rispetto delle strisce pedonali (17%) e delle precedenze (14%). 

Bici come veicoli a motore

Al contrario, il ddl contiene una serie di disposizioni che sembrano andare nella direzione opposta: viene introdotto il principio della multa unica, per cui se un automobilista supera i limiti di velocità più volte nell’arco di un’ora sullo stesso tratto stradale dovrà pagare solo la sanzione più alta aumentata di un terzo, invece che una per ogni infrazione; e lo stesso vale per chi effettui più accessi alle zone a traffico limitato nell’arco di una giornata. La riforma aumenta inoltre la burocrazia e i controlli propedeutici all’introduzione di nuovi rilevatori di velocità e interviene in senso restrittivo anche sulle piste ciclabili, prevedendo, tra le varie, che le condizioni per la loro realizzazione siano stabilite da un decreto del ministero dei Trasporti, bloccando la costruzione di nuove piste fino a quando non sarà pronto il regolamento ministeriale. Tra le deleghe al Governo, si prevede anche quella per introdurre l’obbligo di casco, targa e giubbotto riflettente per le bici, di fatto equiparandole ai veicoli a motore.

Ancora: spariscono le “case avanzate”, cioè gli spazi riservati ai ciclisti davanti alla linea d’arresto delle auto negli incroci regolati dai semafori, che oggi consentono sostanzialmente alle bici di partire prima dei veicoli a motore. Al loro posto, la riforma introduce “zone di attestamento ciclabile”, realizzabili solo su strade dove il limite di velocità è di 50 chilometri orari e dove è già presente una pista ciclabile, con un peggioramento della sicurezza per i ciclisti. Scompare anche l’obbligo per gli automobilisti di dare la precedenza ai ciclisti, che viene sostituito da un generico “prestare particolare attenzione”; mentre compare l’obbligo, per le auto che sorpassano una bici, di mantenere una distanza di sicurezza di almeno 1,5 metri: una disposizione destinata a restare disapplicata in partenza, perché vale solo “ove le condizioni della strada lo consentano”.

L'appello degli assessori all'ambiente

Una proposta che va esattamente nel senso opposto agli sforzi fatti, negli ultimi anni, da tante città italiane, sottolineano gli assessori dei “comuni della A4” nella nota congiunta: indebolisce la convivenza tra i diversi utenti della strada e non interviene sulla prevenzione delle principali cause di incidenti, su tutte la velocità eccessiva delle auto. “Soprattutto”, si legge nel comunicato, “limita pesantemente l’autonomia di azione delle Amministrazioni comunali, prevedendo l’intervento del Ministero per ogni decisione che riguarda la progettazione e realizzazione di piste ciclabili, di zone a traffico limitato e di aree a basse emissioni, aree pedonali e aree di sosta nelle città, comportando di fatto lo stop all’introduzione, da parte degli enti locali, di strumenti utili a potenziare la sicurezza stradale”.

Gli assessorati all’ambiente dei cinque comuni si accodano alle proteste sollevate dalle associazioni ambientaliste in tutto lo Stivale. “Come assessore e assessori impegnati in prima linea su queste tematiche, chiamati a rispondere alle richieste sempre più pressanti da parte della cittadinanza per città a misura di persona, esprimiamo forte preoccupazione per questa riforma del Codice della strada che riduce il ruolo dei Comuni nel realizzare nuove strutture per la mobilità dolce, guarda in maniera semplicistica al tema della sicurezza stradale e compie numerosi passi indietro rispetto agli obiettivi di sostenibilità ambientale da raggiungere anche attraverso la mobilità ciclabile e la moderazione del traffico”. 
 

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