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La tragedia del Sirio: quando il Mediterraneo inghiottiva i migranti bresciani

Il triste anniversario del naufragio

Sono passati esattamente 125 anni da quello strano pomeriggio d'agosto, quando il piroscafo Sirio – 120 metri di lunghezza e 12 di larghezza – s'inabissò nel mar Mediterraneo, a largo delle coste spagnole di Capo Palos. A bordo c'erano (almeno) un migliaio di persone, di cui almeno 800 migranti (anche clandestini): provenivano da tutta Italia, da Nord a Sud, e tra loro anche diversi bresciani, salpati da Genova per raggiungere il Sud America, e in particolare l'Argentina e Buenos Aires, in cerca di fortuna, di una vita migliore. 

Era il 4 agosto del 1906: è l'anniversario di una delle tante, troppe tragedie del mare, in questo caso il “mare nostrum” che fu cimitero di migranti ieri, e lo è ancora oggi. La storia che si ripete, nel silenzio. Per chi ha la memoria corta, all'epoca i migranti eravamo noi: su quella nave, dicevamo, c'erano tanti piemontesi, genovesi, meridionali, ma anche bresciani, bergamaschi, cremonesi, mantovani e veneti. Un fagotto di cose ed effetti personali sulle spalle, una valigia di legno o di cartone: poi nulla più, il passato che se ne va, il futuro a migliaia di chilometri di distanza, chissà.

La cronaca di quel drammatico pomeriggio

Anche quello era un viaggio della disperazione, per sfuggire alla fame e alla miseria: in quel Mediterraneo, lo stesso delle migrazioni dall'Est negli anni Novanta e dei migranti africani negli anni Duemila. Tanti, troppi sono morti in quel mare. Come morivano i nostri nonni e parenti lontani. Ma cosa successe in quel maledetto pomeriggio? “Il 4 agosto alle ore 16 – si legge su caliceligure.it, pagina gestita da Carlo Croce: risiede a Montevideo, ma con profonde radici liguri – nei pressi di Capo Palos il capitano di una nave ungherese, il Buda, nota che il Sirio sta viaggiando a forte velocità in uno dei punti più pericolosi per la presenza di scogli semi-sommersi. Pochi minuti dopo si sollevò dall'acqua per inclinarsi sul fianco destro”.

E' la cronaca del naufragio, per cui “immediati furono i soccorsi, sia da parte della nave ungherese che da un battello e una goletta spagnola, susseguiti poi da un piroscafo spagnolo e uno francese: il recupero fu reso difficile a causa del mare agitato, ma entro le 19.30 tutti i superstiti erano in rientro verso le coste spagnole. In un primo momento si calcolarono 300 vittime ma non si seppe mai il numero esatto”.

Centinaia di vittime inghiottite dal mare

Ieri come oggi: non tutti i dispersi vennero identificati e recuperati, c'è chi è rimasto nel fondo di quel mare, senza memoria o degna sepoltura. La stima delle 300 vittime è credibile, ma non sarà mai definitiva (alcune fonti ne contano fino a 500): nemmeno 125 anni dopo. La nave venne costruita a Glasgow e varata nel 1883: era di proprietà della Navigazione generale italiana. Il capitano Giuseppe Picconi venne bistrattato, e non poco, dalla stampa italiana: venne accusato non solo di aver portato la nave dritta sugli scogli, ma pure di non aver controllato le dotazioni di soccorso della nave.

Il naufragio del Sirio: tragedia bresciana

Tragedia italiana, e bresciana: il giornalista Luca Quaresmini, sul portale popolis.it, raccoglie scritti e testimonianze da “La Provincia di Brescia”, celebre quotidiano bresciano che chiuse i battenti nel 1926. Emergono nomi e ricordi: tra loro il ventenne Luigi Boni, che da Medole sarebbe dovuto arrivare a Morteros, zona Buenos Aires, per lavorare. Fu uno dei sopravvissuti: “Prima di imbarcarsi per l'America, lavorava la terra – si legge – Era diretto a Morteros per impiegarsi in qualità di commesso presso il signor Oreste Candrina di Castiglione delle Stiviere, che a Morteros ha un emporio di mercerie”.

Come tanti altri era imbarcato in terza classe, quella dei poveri, quella più numerosa. Dai carteggi raccolti da Quaresmini saltano fuori altri nomi, tra coloro che salpati su quella nave non sono mai tornati. Solo per citarne alcuni: la veronese Attilia Guatelli, i cremonesi (di Casalmaggiore) Paolo e Luigia Maffezzoli, marito e moglie. E ancora il bresciano Pietro Gregorini, di probabilissime origini camune. “Lottai per quattro ore contro le onde, e fui finalmente salvato da un pescatore che aveva salvato altri 12 naufraghi”, fu invece la testimonianza del vescovo di Parà, monsignor Mercandes, che stava tornando in Brasile. 

Il canto (popolare): "Di tanta gente la misera fin"

Per quella tragedia venne scritto e musicato anche un canto popolare, riportato da “Il bastimento parte. I canti dell'emigrazione bergamasca” di Mimmo Boninelli. “E da Genova il Sirio partiva – recita il testo – per l'America il suo destin, e a bordo cantar si sentiva, tutti allegri solcando i confin. Il 4 agosto alle 5 di sera, nessun sapeva il suo rio destin, urtò il Sirio un orribile scoglio, di tanta gente la misera fin. Si sentivan le grida straziate, padri e madri nell'onde a lottar, abbracciava piangendo i suoi figli, che sparivano nell'onde del mar”.

Tragedia italiana, bresciana e non solo: è la tragedia di tutti coloro che scappano da guerra, fame e miseria, e che continuano a farlo anche oggi, e continueranno sempre nella società dove il profitto viene prima, e l'umanità sempre dopo. Settantacinque al minuto: è il battito del mondo, il numero delle persone che ogni 60 secondi migrano per lavoro o per necessità, lasciano le campagne per la città, il proprio Paese per un altro. Noi eravamo loro ieri ma lo siamo anche oggi e lo saremo anche domani: lo scriveva Dante Alighieri, “io ho il mondo per patria, come i pesci hanno il mare”.

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