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Pcb e diossine nel latte delle mamme bresciane: +33% in città e hinterland

I dati dello studio coordinato dall'Istituto superiore di Sanità

Pcb, furani e diossine nel latte materno con concentrazioni tra le più alte d'Europa, quasi tre volte rispetto alla provincia di Trento e più del doppio della media nazionale: solo in Ucraina sarebbero emersi risultati peggiori. E' quanto riferisce l'Isde di Brescia, la sezione locale dell'Associazione italiana Medici per l'ambiente, nel commentare il doppio report pubblicato in questi giorni dall'Ats di Brescia: gli studi, entrambi consultabili a questo link, si riferiscono in particolare al “Follow-up delle persone con elevato Pcb ematico” e allo “Studio di monitoraggio di Pcdd, Pcdf e Pcb nel latte materno di donne residenti in provincia di Brescia”.

Per quanto riguarda la concentrazione di Pcb nel sangue dei bresciani, riferisce l'Isde a Il Giorno, “i risultati confermano un'ulteriore riduzione rispetto al precedente rapporto del 2015”. Mentre per quanto riguarda la concentrazione di diossine e Pcb nel latte materno, “la concentrazione è significativamente maggiore nelle donne residenti nei Comuni della provincia identificate a priori come più soggette ad esposizioni incrementali a questi inquinanti”.

Il Pcb nel sangue dei bresciani

Dal 2001 ad oggi, nel territorio oggi di Ats Brescia, sono più di 1.400 le persone che hanno avuto almeno una misurazione di Pcb ematico. Lo studio reso noto in questi giorni include 130 soggetti con almeno 3 misurazioni di Pcb in un periodo di 15 anni di follow-up (dal 2003 al 2018). Nello specifico, sono stati inclusi nell'analisi 130 soggetti arruolati tra il 2003 e il 2012 e che avevano almeno 3 misure ripetute di Pcb nel periodo 2003-2018: il 46,9% di questi sono maschi, con età media all'arruolamento (ovvero alla data del primo esame) di 57,3 anni.

La media aritmetica della trasformata logaritmica delle concentrazioni di Pcb totali è passata da 3,56 nanogrammi per millilitro di sangue dell'arruolamento ai 2,96 ng/ml a 15 anni, con una diminuzione media annua del 4%. Tale diminuzione è in linea con quanto osservato nel precedente studio, relativo a 12 anni di follow-up (dal 2003 al 2015) in cui la diminuzione media annua era pari al 3,8%. 

I risultati, conclude lo studio, sono in linea con il dimezzamento delle concentrazioni di Pcb totali che è stato osservato nella popolazione bresciana, in un intervallo di tempo di 10 anni, mettendo a confronto i valori della prima indagine di popolazione condotta nel 2003 con quelli della seconda indagine, del 2013.

Lo studio sul latte materno

Per quanto riguarda lo studio sul latte materno, questo ha avuto lo scopo di definire l'esposizione a policlorodibenzodiossine (Pcdd), policlorodibenzofurani (Pcdf) e policlorobifenili (Pcb) di donne residenti a Brescia e zone limitrofe a presumibile esposizione incrementale a questi inquinanti (Brescia città, Brescia hinterland e Valtrompia) a fronte dell'esposizione di donne residenti in un'area a presumibile contaminazione di fondo dagli stessi inquinanti (Bassa bresciana). La valutazione dell'esposizione è stata effettuata attraverso il biomonitoraggio, analizzando le concentrazioni degli inquinanti in campioni di latte materno.

Lo studio prevedeva che in ogni area venissero arruolate 40 donatrici aventi caratteristiche simili, tra cui primiparietà, età compresa tra i 20 e i 35 anni, residenza nella zona da almeno un decennio. Le donatrici dovevano raccogliere un campione del proprio latte nell'intervallo compreso tra la quarta e l'ottava settimana del parto, compilando anche un questionario (su dati antropometrici e stile di vita) al momento del prelievo. 

Dal confronto tra donatrici emergono significative differenze di concentrazione tra le donne “esposte” (quindi città, hinterland e Valtrompia) e quelle “non esposte” (Bassa bresciana). Per quanto riguarda la concentrazione dei composti diossina-simili, si rileva fino a un 33% in più tra le “esposte” in Pcdd, Pcdf e Pcb, +25% per Pcdd e Pcdf, +45% per Pcb: si osserva inoltre un aumento di concentrazione, nelle donne di Brescia e zone limitrofe, di alcuni cogeneri di contaminanti. 

Nei limiti della comparabilità, conclude lo studio coordinato dall'Istituto superiore di Sanità, il confronto tra i dati con quelli ottenuti in un precedente studio di biomonitoraggio “evidenzia un  netto trend di esposizione in diminuzione, particolarmente marcato per i Pcb non diossina-simili”. 

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