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“Scappate! Arrivano i soldati italiani!” Guerra in Libia, 100 anni dopo

Alla Cgil di Brescia un nuovo appuntamento bresciano organizzato dal Centro Filippo Buonarroti, dedicato alla guerra in Libia di ieri e di oggi, da Giolitti a Mussolini, da Graziani a Balbo. Ma nel 2011 i pacifisti dove sono?

La prima invasione libica made in Itay ha compiuto proprio ieri 100 anni. Nell’ottobre del 1911 infatti il secondo tentativo dell’Italia liberale di inserirsi nella competizione imperialista, dopo la clamorosa sconfitta di Adua del 1896, con il doppio sbarco delle truppe nostrane a Tripoli e Bengasi: ma anche allora non andò benissimo, e a dire la verità nemmeno con Mussolini un paio di decenni dopo. “Questa è la storia del nascente e straccione imperialismo italiano – anticipa Giovanni Bonassi del Centro Filippo Buonarroti – La prima guerra di Libia è stata però la culla della propaganda bellica moderna, con il primo bombardamento aereo della storia. La Cgil di allora proclamò uno sciopero generale contro quella guerra infausta: nel corso dei decenni le truppe italiane si sono poi macchiate di ogni genere di crimini”.

Questo il tema del nuovo incontro in terra bresciana, nella sede della Camera del Lavoro, organizzato dal Centro Filippo Buonarroti, al quale ieri sera ha presenziato anche il segretario della Cgil Brescia Damiano Galletti. Perché la guerra di Libia continua anche oggi, e il problema dei diritti umani torna in auge giorno dopo giorno in quello che viene definito come un aiuto civile e democratico al popolo libico e che invece è l’ennesima guerra di spartizione imperialistica. “Le ragioni antiche sono molto simili alle ragioni di oggi – aggiunge Galletti – La Libia è pur sempre il Paese africano che ha i maggiori investimenti economici in Italia, in Europa e nel mondo”.

“Scappate! Arrivano i soldati italiani!” Guerra in Libia, 100 anni dopo

Altro tema pressante è quello dell’immigrazione e dei profughi. A Monte Campione, ma anche a Corteno Golgi, a Castegnato e via così, sono stati radunati (o meglio rinchiusi) qualche centinaio di sfollati provenienti direttamente o indirettamente dal conflitto libico. Quasi mai cittadini libici, ma perlopiù lavoratori già precedentemente immigrati in Libia, provenienti dal Centro Africa e componenti fondamentali di quei 2,5 milioni di stranieri che compongono la manovalanza di bassa leva che nei decenni ha affiancato l’80% di salariati statali del welfare libico. In pochi sanno che l’appalto per l’accoglienza è gestito da Federalberghi, che in cambio riceve 46 euro giornalieri per ogni ‘ospite’, di cui 4 dovrebbero essere reinvestiti in formazione e corsi e 2,5 elargiti all’immigrato stesso, per la sua sopravvivenza.

“Nessun ente locale li ha accolti – spiega Giovanni Valenti, esperto di flussi migratori della Fondazione Piccini – e questo significa che lo Stato ha fallito, e ha messo in atto un’operazione insensata e incoerente. L’affidamento a Federalberghi significa imporre in un Paese gli interessi di un albergatore! E questa epopea dell’invasione è molto propagandistica, perché dati alla mano i numeri non sono paragonabili a quelli dei Paesi invece limitrofi”. L’Italia non riesce a gestire i flussi migratori? Se in Italia si parla di 30mila arrivi, Egitto e Tunisia insieme ne sommano quasi 500mila, e perfino il Chad per poco non ci doppia con 51mila.

La Cgil si sta muovendo nell’ottica di un progetto per ‘liberare’ questi profughi rinchiusi lontani da tutto e da tutti, che per quasi 100 giorni non hanno visto nessuno e non hanno nemmeno avuto un presidio medico. Perché la guerra non è finita, ancora. “Nessuno sa quello che succederà in Libia – ammonisce Antonio Barberini del Centro Buonarroti – A Tripoli in ogni quartiere è stata piantata una bandiera diversa. La Libia è diversa, è Paese più ricco degli altri, con reddito più che doppio rispetto all’Egitto, e che nel tempo ha mantenuto una forte presenza di immigrati dal Centro Africa, per garantire il livello di vita dei salariati statali”.

“Se la primavera araba è stata caratterizzata da forme di rivolta sociale delle fasce più deboli, la primavera libica ha connotati regionali, e si fonda sulle rivalità millenaria tra i due poli principali, la Tripolitania e la Cirenaica. Con la sparizione di Gheddafi non è cambiato nulla, sussistono ancora forti atteggiamenti razzisti contro i ‘neri’, mentre le associazioni internazionali denunciano nuovi maltrattamenti”. La spartizione della Libia è cominciata su iniziativa francese: “Nella storia non esiste un solo Stato che si sia mai mosso per motivi umanitari, la nuova favola dopo la caduta dell’Urss. Quello su cui si deve riflettere è il ruolo defilato degli Usa, segno inequivocabile che il mondo è cambiato profondamente, e che Francia e Inghilterra si muovono ora per interesse europeo, anche in funzione antiamericana”.

Nel lungo dibattito della sala 28 Maggio di Via Folonari anche un doppio excursus, storico e cinematografico, sui significati e le cause delle guerre italiane in Libia. Se il professor Giorgio Galli, già intervistato da BresciaToday, pone l’accento sulla “grande proletaria che si è mossa” e  sul nuovo tipo di propaganda che si sviluppa anche all’interno del movimento socialista con correnti contraddittorie che “credono nella guerra di civiltà per diffondere il capitalismo”, l’esperto di didattica del cinema Aldo Merlassino incentra il discorso sulla guerra libica “ampliamente supportata dalla multimedialità”, con giornalisti, fotografi e cineasti a seguire le truppe e “cineoperatori che riprendono i familiari dei soldati che salutano i congiunti in guerra”.

Con la grande citazione del film più censurato della storia recente italiana, ‘Il Leone del Deserto’ di Moustafa Akkad, con Antony Quinn e Gastone Moschin, che nelle crude scene che accompagnano la pellicola mostra la crudeltà dell’intervento bellico italiano, senza se e senza ma: “Presto, scappate! Nascondete le donne! Arrivano i soldati italiani..”.

IL LEONE DEL DESERTO - Guarda il film

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