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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Un bresciano a Bergamo: il Romanino, "testimone inquieto"

Si è conclusa il 30 ottobre la mostra bergamasca (in scena al Palacreberg) dedicata al pittore bresciano Girolamo Romanino, il "testimone inquieto" della sua epoca

La Fondazione Creberg, nella persona di Angelo Piazzoli segretario generale della Fondazione, che ha già sostenuto restauri e sponsorizzato la mostra di Palma il vecchio alla Gamec, ha dedicato il mese di ottobre, a Bergamo, alle opere più significative del Romanino, alcune provenienti dalla città di Bergamo, altre da Brescia. E’ l’occasione per soffermarci su un artista bresciano di cui essere particolarmente orgogliosi, in tempi in cui si celebra con Papa Francesco un atteggiamento accogliente verso gli ultimi. Romanino ha realizzato alla Madonna della neve di Pisogne il racconto umano della vita di Cristo, un racconto corale interpretato da uomini del contado, con una visione talmente coinvolgente da commuovere Pasolini. Pier Paolo Pasolini ha sostenuto di Romanino: «Egli è più moderno di quello che la società e la cultura italiana del suo tempo gli consentissero di essere. Ed egli sfugge a questa stretta culturale storica in maniera alla volte scomposta, anche questa prefiguratrice di tipi pittorici e di convenzioni di strutture pittoriche future», infatti anticipa espressionisti, simbolisti, esistenzialisti.

Lo storico dell’arte Giovanni Testori lo aveva definito «Il più grande, torvo e triviale dei pittori in dialetto della storia dell’arte», ma si riferiva alla pittura italiana. L’arte di Romanino è in dialogo con i fiamminghi e l’arte tedesca, ma offre una prospettiva ulteriore. Romanino crede, ha dubbi ma crede, e trasmette nelle sue opere la visione dell’Oltre. Romanino, quindi pittore del rinascimento europeo (per Pasolini), aveva operato accanto a Tiziano per scegliere poi un percorso autonomo, che lo ha portato prima al Castello del Buonconsiglio di Trento poi, celebre e più maturo, al ritorno nelle campagne padane, per realizzare presso comunità più ridotte, il suo racconto popolare, un Cristo fratello del mondo contadino. «Era inquieto lui stesso – afferma Fabio Larovere, docente di Storia dei valori artistici del territorio all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia – con la sua arte interrogava e attraverso le sue tele restituiva le inquietudini del tempo con grande vigore».

Di potenza pittorica notevole anche Le Pale presenti alla Creberg, fissano frammenti delle vita di Maria. Nel Salone al primo piano, è esposta la Pala dell’Assunta, proveniente dalla Basilica di Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo, ci è restituita alla sua originaria bellezza, grazie al restauro realizzato da Minerva Tramonti Maggi e Alberto Sangalli, e sostenuto dalla Fondazione Creberg. Una tela di notevoli dimensioni considerata tra i capolavori del pittore, Maria sale in un cielo luminoso, sospinta da piccoli putti angelici, avvolta da vesti di colori scintillanti, il manto argenteo. Ha pupille rivolte verso l’alto, ma ascende come smarrita quasi rigida, ai suoi piedi; molto più in basso, accanto alla bara, ci sono figure incredule, sorprese, sono apostoli-pescatori con abiti dai colori della terra, agitati e perplessi. L’artista esprime intensa sintonia con il loro confabulare.

Nell’anticamera della sala consigliare due pale di misura più ridotta, due versioni dello Sposalizio della Vergine, realizzate in epoche diverse, distanti 20 anni. Una per la chiesa di San Giovanni a Brescia, la seconda per San Carlo in Valtrompia e oggi all’Ubi Banca in città. Simile lo sviluppo del tema, con sfumature e tonalità diverse, più scura la seconda, frutto di ulteriori riflessioni o della necessità di restauro. In entrambe Maria è una figura nobile, con un manto scuro, decorato a foglie d’oro, ma i suoi occhi sono arrossati, come quelle delle sue ancelle. Il sacerdote è incerto, Giuseppe ha uno sguardo interrogativo. Figure eleganti, non altere, profondamente sensibili: alle loro spalle un osservatore in rosso cardinalizio contorce un frustino o una stecca metallica, posto in alto, in un angolo. Sullo sfondo un piccolo bagliore, come se la scena fosse ripresa in un interno buio.

Il Cristo morto è compianto da angeli affranti, urlano di dolore e di sdegno, mentre reggono il suo corpo già livido; accanto la piccola tavoletta con San Girolamo Penitente, la figura del Santo è appena abbozzata, ma rende un alto livello di drammaticità. Segue una Scena eucaristica: dal fondo buio di una chiesa, emergono con colori solari, quasi avvolti da una luce accecante, donne velate, ai piedi dell’altare, e il sacerdote che offre l’ostia. Tele raramente visibili da vicino , per il pubblico perché conservate in collezioni private o poste su altari oltre gli occhi dei credenti, quindi da non perdere. Tra l’altro in questa occasione accanto alle opere di Romanino, è posta La Madonna in trono col bambino tra i santi Eusebia, Andrea, Domno e Domneone, dipinto del coevo Alessandro Bonvicino, detto Il Moretto.

E’ evidente il contrasto tra l’umanità impregnata di fisicità di Romanino e l’eleganza delle figure alla moda rinascimentale del Moretto, che pur esprime una originale vivacità. nella composizione. Il bimbo si muove scomposto a sinistra, mentre la madre conversa con un ospite, tutta protesa a destra. Anche nella Madonna con bambino e san Paolo del Romanino il piccolo appare in posizione precaria, fra la madre, più attenta a tenere il mazzolino di fiori tra le dita, che a trattenere il figlioletto, mentre conversa con il Santo: più un Giuseppe che un Paolo, se non fosse per la spada e la concentrazione su di sé. C’è una cura fra gli accostamenti dei colori polverosi, negli abiti e nello sfondo, mentre i tratti delle figure in alcuni passaggi, sono quasi grezzi. Ci saranno stati ritocchi successivi alla stesura di Romanino, ma non smentisce una sua acuta ironia. (sempre della collezione Ubi Banca).

La mostra si è conclusa il 30 ottobre scorso: accompagnata e completata da concerti, visite guidate gratuita e la distribuzione – sempre gratuita – del catalogo. Le schede delle opere sono a cura del Prof. don Giuseppe Fusari, Direttore del museo diocesano d’arte sacra di Brescia e docente dell'università Cattolica.

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