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La "guerra degli uomini" e la "pace della natura": semplicemente, Giovanni Fattori

Si è conclusa il 28 marzo scorso, a Palazzo Zabarella, la mostra dedicata all'artista Giovanni Fattori. Inevitabile il riferimento bresciano con l'opera sulla battaglia della Madonna della Scoperta

La mostra di Giovanni Fattori ha avuto un grande merito: trasmettere un'ampia visione biografica sull'artista. Allestita a Palazzo Zabarella, a Padova, fino al 28 marzo scorso: con un discreto successo. Le diverse tavole spaziano dalla visione epica delle battaglie agli inni alla pace campestre, dalla nostalgia degli scorci maremmani all'affetto dei ritratti familiari. Partendo da un quadro “bresciano”: La carica alla Madonna della Scoperta, dipinto autografo realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1862. La chiesa alla quale tanti cittadini sono legati fa da sfondo: meta ambita, ha una storia lunga secoli. Nel terreno circostante infuria la battaglia tra francesi e austriaci: ci sono i primi caduti, impavidi fanti cavalieri continuano a combattere nella polvere e tra il fumo delle cannonate, il combattimento si espande su tutta la tela con il massimo della tensione e dell’energia.

Diventa così simbolo di tanti oli di Fattori dedicate alle battaglie del Risorgimento, volti a cantarne l’epica. La chiesa chiamata Madonna della Scoperta – al suo interno era stato ritrovato un venerando ritratto della Madonna, scomparso nel 1200 poi ricostruito e completato a meta '700 – domina dall'alto della collina: chiarissi,a sorveglia e si predispone ad ospitare i troppi feriti. Per Fattori è l'obiettivo da raggiungere. Dopo i tradimenti nei confronti delle aspettative popolari, generatisi dopo l’Unità, maturò nell’artista, come in altri amici, una sensibilità contraria alla guerra, rielaborata e poi vissuta come fonte di distruzioni,di morti e feriti. Probabilmente ripensando alle battaglie di Magenta, Solferino e San Martino, all’ospedale da campo allestito nel Santuario, ha scelto di farsi interprete della delusione diffusa.

Passato un periodo nel ritiro della Maremma a riflettere, a dipingere buoi, cavalli bradi, il mare di Livorno, di un blu intenso incredibile, la limpida luce di Castiglioncello, i marinai e lavoranti, che ritroviamo nelle opere esposte a Palazzo Zabarella, torna a dipingere la guerra. Ne sottolinea la tragicità come ne Lo staffato, ne Gli abbandonati racconta la solitudine dei militari, ne La posta all'accampamento fino all’urlo di dolore per i feriti, per gli scoppi, per le bombe. La mostra torna alla dolce malinconia dei tramonti nel bosco, nelle Campagne marine, fa rivivere la sacralità con cui rende Le acquaiole, Le raccoglitrici di fascine. Con il cappello in testa, l’aria spavalda da ragazzo oltre gli anta ci studia dal suo autoritratto, conferma l’impronta combattiva, la capacità di meditazione, di attesa, come ne Il muro bianco, quasi anticipazione ad olio delle visioni espresse nel deserto dei tartari e nei giochi di luce dei paesaggi di Morandi. Ci sorride ironico anche dietro lo sguardo mite dei buoi, ricordandoci Carducci, ci coinvolge nello scompiglio paesano dei Mercati di bestiame.

Una bella mostra in grado di offrirci tanti spunti di riflessione e forti emozioni: chissà che un giorno, per chi se l'è persa, non possa essere riproposta anche da noi, in terra bresciana.

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