Brescia Photo Festival: “Give photography a chance"
Perché lasciare aperte le porte delle gallerie? Perché mettere a disposizione di chiunque voglia esporre le proprie fotografie uno spazio di parete bianca, perché non fare selezione, perché non censurare, perché semplicemente aspettare che le stanze si riempiano di immagini fino a raggiungere la saturazione? Perché tutto questo?
Il Brescia PhotoFestival apre le porte a chiunque voglia mostrare il/i propri lavori: negli stessi spazi in cui hanno esposto i Maestri della Fotografia. Qualunque appassionato, qualunque fotoamatore, qualunque persona dotata di una macchina fotografica o di uno smartphone che creda nella necessità di restituire ad un largo pubblico le proprie opere, potrà farlo presentandosi a Brescia, dove avrà a disposizione una superficie in cui disporre le immagini realizzate.
Perché la parete di uno spazio espositivo è un luogo di sovrapposizioni, di sperimentazioni in cui testare, senza alcuna censura, la duttilità del mezzo fotografico, la voglia e la necessità di allargare i propri osservatori critici, di confrontarsi con un luogo destinato alla lentezza dello sguardo. Ognuno di noi oggi può avere a disposizione infinite pareti digitali in cui mostrare il proprio modo di guardare e restituire il mondo, ma una galleria definisce un diverso rapporto con le immagini, frena inevitabilmente lo scorrere del tempo d’osservazione. Il visitatore rallenta il passo, ferma i propri movimenti, osserva, confronta, scorre, ricorda.
Le gallerie, quelle importanti, sono luoghi in cui si costruiscono narrazioni, in cui si cerca di capire come decifrare il Tempo, come dargli una forma, un carattere, forse un senso. Sono sovrapposizioni di storie, di immagini, sono passaggi, uno dopo l’altro. Il Ma.Co.f racconta la storia sociale degli ultimi cinquant’anni con gli scatti di Berengo Gardin, di Nino Migliori, di Uliano Lucas e di Pepi Merisio, racconta il glamour della moda e del corpo femminile con le fotografie di Gian Paolo Barbieri, i personaggi della dolce vita immortalati da Tazio Secchiaroli, le ricerche di Ugo Mulas , di Gabriele Basilico e i paesaggi di Franco Fontana: scritture diverse che si susseguono a comporre la storia dell’immagine italiana del Novecento. Ed è anche per queste ragioni che la mostra si trasformerà in una sorta di ricerca non solo fotografica/artistica, ma antropologica e sociale in cui, senza selezione alcuna, si raccoglieranno dati iconografici a comporre un quadro diversificato che si confronterà con la storia stessa della galleria, un quadro probabilmente surreale, imprevedibile e su cui riflettere.
INFORMAZIONI
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