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Giovedì, 28 Marzo 2024
Economia

Chi potrà lasciare il lavoro con la riforma delle pensioni

Per il 2023 i giochi sembrano quasi fatti: probabile la proroga di Opzione Donna, Ape Sociale e forse anche Quota 102

Pensioni, il tempo stringe per la riforma. Su chi lascerà il lavoro a partire dal 1 gennaio 2023 si possono fare solo ipotesi, ma qualche certezza già c'è. Se il governo non facesse nulla (nonostante i tempi tiratissimi è complesso pensare a una stasi totale), gli unici canali di uscita dal lavoro sarebbero quelli ordinari della legge Fornero: 67 anni e 20 di contributi per la pensione di vecchiaia oppure 42 anni e 10 mesi per la pensione anticipata, a prescindere dall’età anagrafica (un anno in meno per le donne). Uno scalone che in qualche modo sarà certamente smussato.

Con un governo Meloni che si presume sarà operativo nel pieno delle sue funzioni entro fine ottobre (Berlusconi permettendo), è altamente probabile che saranno prorogate Opzione Donna e Ape Sociale, ma forse anche una misura simile a Quota 102, che si è dimostrata utile ma solo per una platea ben più ristretta del previsto (dunque non particolarmente onerosa da replicare anche per il 2023). Quota 102  prevede l'uscita dal mondo del lavoro a 64 anni di età con 38 di contributi: non sarà possibile cumularla con i redditi da lavoro a parte gli autonomi occasionali che non superano le cinquemila euro annue. L’incumulabilità scatta il primo giorno di pensione e si protrae fino a quando non maturano tutti i requisiti per ottenere la pensione di vecchiaia (dai 67 anni in su). 

La prossima riforma delle pensioni

Una nuova legge per la riforma delle pensioni dovrebbe poi avere un suo iter autonomo ed essere approvata nel corso dell'anno prossimo, possibilmente prima di luglio. L'Inps dall'estate in poi potrebbe così avere il tempo di approntare le circolari applicative per fare in modo che la riforma divenga effettiva dal 1° gennaio 2024. Il governo, come da tradizione, intraprenderà la strada del confronto con sindacati e associazioni di categoria. La stella polare realisticamente potrebbe essere, questa volta per davvero, Quota 41. Se Giancarlo Giorgetti sarà il ministro dell'Economia, ancora di più. Quota 41, cioè il pensionamento con 41 anni di contributi versati a prescindere dall'età anagrafica, esiste già, ma è per pochi. Da qualche anno è "dedicata" soltanto ai lavoratori in possesso, al 31 dicembre 1995, di contribuzione che possono far valere almeno 12 mesi di versamenti antecedenti al compimento del diciannovesimo anno d'età (i cosiddetti “precoci”) e che si trovano in una di queste condizioni: chi è disoccupato e non percepisce da almeno tre mesi l'indennità di disoccupazione; chi presta cure da non meno di sei mesi a un familiare entro il secondo grado, convivente con handicap grave; gli invalidi civili con oltre il 74% di invalidità; coloro che hanno svolto attività usurante o mansioni gravose per almeno sette anni negli ultimi dieci non meno di sei anni negli ultimi sette di attività lavorativa.

In teoria nessuno può essere "contrario per principio" a Quota 41, che ha un grande "pro", innegabilmente. Slega l'addio al posto di lavoro dall'età anagrafica. Quindi chi ha iniziato da giovanissimo a lavorare andrà in pensione a un'età più che accettabile. Facciamo qualche esempio: una persona che ha cominciato a lavorare a 16 anni potrà andare in pensione a 57 (41+ 16). Resterebbero comunque anche dei parametri di pensione di anzianità, età (si ipotizza fra i 67 e i 70) alle quali anche senza i 41 anni di contributi si avrebbe diritto al pensionamento. Applicare Quota 41 per tutti senza penalizzazioni però non basterebbe. Per armonizzare il sistema, bisognerebbe introdurre paletti certi per un'amplissima flessibilità in uscità dal lavoro dai 62 a 70 anni, con lievi penalizzazioni. Il piano prevederebbe anche un certo impulso alla previdenza complementare con detrazioni del 50% di quanto versato e per le donne lavoratrici uno sconto di 9 mesi per figlio per un massimo di due figli. Siamo nel campo delle ipotesi, ma lo scheletro della prossima riforma delle pensionoi non si dovrebbe discostare di molto da quanto appena detto.

Cosa succede con Quota 41

Lo scorso anno l’Inps aveva fatto delle stime sul costo di Quota 41 anni per tutti, considerando sia la spesa di breve e medio periodo (dal 2022 al 2031), sia di lungo periodo (fino al 2050 circa), ipotizzando che il 100 per cento dei potenziali beneficiari aderirebbe a Quota 41: 5 miliardi nel primo anno, 9 nel decimo anno. Se si ragiona in prospettiva di lungo termine, l'istituto valuta che Quota 41 porterà benefici dopo il 2040, quando inizierà a registrarsi un risparmio dovuto ai minori assegni pensionistici a causa dell’uscita anticipata dal lavoro. Per tutto il periodo precedente, però, continuerà a registrarsi una spesa pensionistica più elevata rispetto allo scenario attuale, che, seppur inferiore ai massimi di 9 miliardi nel 2031, avrà ancora un peso consistente sui conti pubblici nei dieci anni successivi al picco di spesa. UUn impatto di decine di miliardi sui conti pubblici, parzialmente bilanciato però dal fatto che chi andrebbe in pensione in anticipo rispetto a quanto farebbe con la legge Fornero, lascerebbe spazio sul mercato del lavoro ai più giovani. Ma è impossibile fare calcoli precisi sul ricambio (basti pensare a Quota 100, con cui per ogni due lavoratori andati in pensione ne è entrato sul mercato del lavoro uno solo nuovo). "Quota 41 è la soluzione: è l'argine all’iniqua legge targata Fornero, già costata 12 miliardi di salvaguardie, e rappresenta una leva fondamentale di flessibilità per il mercato del lavoro", diceva venerdì sera il senatore della Lega e responsabile del dipartimento Lavoro del partito, Claudio Durigon. La strada è segnata, anche se gli ostacoli non mancheranno.

Fonte: Today.

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