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Il prosciutto costa troppo: la crisi non solo bresciana

A Brescia ci sono più di un migliaio di allevamenti e quasi un milione e mezzo di maiali ma il settore è in crisi da tempo. La concorrenza europea sbaraglia la produzione italiana e la Regione Lombardia, dove si realizza il 40% della produzione nazionale

Il prosciutto italiano è da sempre considerata una delle produzioni autoctone più apprezzate e più ricercate ma nell’ultimo decennio lo stato di crisi si è fatto evidente e (forse) irreversibile. La produzione lombarda, che da sola realizza circa il 40% della produzione nazionale, deve affrontare un mercato sempre più libero e sempre più a basso costo, tanto che le vendite sono in calo costante e le difficoltà sono sempre maggiori: far quadrare i conti a volte è difficile per le grandi aziende, spesso impossibile per le piccole realtà familiari che però rappresentano un’ampia fetta della produzione complessiva. Brescia è la prima Provincia lombarda in termini di quantità prodotte, di numero di allevamenti e di numero di capi (tallonata solo da Mantova) ed è quella che più risente di una situazione problematica come quella attuale. I costi di produzione sono più che raddoppiati, i ricavi dalle vendite (a causa della concorrenza europea) sono rimasti pressoché gli stessi, se non addirittura diminuiti: il prosciutto italiano, in particolare quello bresciano, è sempre stato di alta qualità ma non può più sopportare il confronto impari con le produzioni estere.

Cotto o crudo che sia, il prosciutto autoctono può venire a costare una decina di euro in più al chilo rispetto allo stesso prodotto che invece proviene dal Nord o dall’Est Europa. Sorprende il fatto che i concorrenti più spietati siano Olanda e Danimarca, dove ci si aspetterebbe un costo di produzione più elevato del nostro e anche la stessa vendita dei maiali dovrebbe rispettare il più alto costo della vita. Ma non è così: “I maiali stranieri costano meno perché vengono macellati molto giovani, a sei massimo sette mesi – ha dichiarato con un po’ di amarezza Andrea Cristini, vicepresidente della Coldiretti di Brescia – e perché non vengono allevati secondo i disciplinari italiani, molto più severi”. L’usanza lombarda rispetta i giusti tempi di una lunga tradizione, maiale ucciso quando ha già raggiunto i dieci mesi di vita, con precisi dettami anche sull’effettivo strato di grasso della coscia dell’animale.

Coldiretti e esponenti regionali, Giulio De Capitani in primis, da mesi e mesi chiedono lo stato di crisi immediato: “Se va avanti così – prosegue Cristini – non ci sarà più neanche bisogno di lanciare grida d’allarme. A fine anno si chiude e ciao ciao prosciutti Dop, ciao ciao marchi”. Forse un po’ troppo pessimista, perché incrociando i dati Coldiretti con quelli di Assica, un’associazione che riunisce 180 imprenditori del settore delle carni, si scopre che il fatturato complessivo si mantiene intorno agli otto miliardi di euro, di cui quasi un miliardo di esportazioni: i salumi italiani non sembrano risentire della concorrenza, il prosciutto (lombardo) purtroppo sì.

E dalla Coldiretti regionale una triste considerazione del presidente Nino Andena: “Siamo al punto di non ritorno”.

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