Colf e badanti, Cisl: "Le famiglie non possono pagare come le aziende"
La riforma Fornero ha introdotto l’obbligo per i datori di lavoro di versare un contributo di fine rapporto, rapportandolo di fatto a quello dei lavoratori di normali aziende
La Cisl sollecita una rapida inversione di rotta sul fronte della nuova normativa sui licenziamenti o dimissioni di colf e badanti. La riforma del lavoro Fornero ha introdotto a partire dal primo gennaio 2013 l’obbligo per i datori di lavoro di colf e badanti di versare un contributo in caso di licenziamento o di fine rapporto per finanziare la nuova indennità di disoccupazione - l’Aspi - che anche questi lavoratori in futuro potranno prendere.
“E’ giusto che tutti i lavoratori, e quindi anche la colf o la badante, possano, in caso di licenziamento, avere una indennità di disoccupazione – spiega Roberto Benaglia, segretario regionale Cisl Lombardia – ma è profondamente ingiusto considerare le famiglie come se fossero delle imprese”.
Il contributo richiesto, infatti, può arrivare ad un massimo di 1.418 euro per un rapporto di lavoro durato 3 o più anni (473 euro se il contratto è durato 1 anno). E’ la stessa cifra che pagherebbe ogni azienda per i propri dipendenti. Inoltre il contributo non tiene conto dell’orario di lavoro: in modo ingiustificato chi si avvale di una bandante o di una colf con un rapporto di lavoro a 8 ore settimanali dovrà pagare la stessa cifra di chi ha un dipendente a 40 ore settimanali.
Per ottenere l’Aspi, poi, il lavoratore o la lavoratrice dovranno avere 2 anni di contribuzione con le nuove regole. Pertanto mentre le famiglie sarebbero costrette a pagare da subito, le colf o le badanti potranno prendere tale indennità solo a partire dal 2015.
Insieme a Cgil e Uil, la Cisl ha chiesto un incontro urgente al ministro per modificare la normativa e definirne una maggiormente equa. In particolare, la Cisl chiede che da subito vengano sospesi gli obblighi da parte dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate per i pagamenti.