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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

«Di foibe non si parla»: caschi e mazze per fermare la conferenza

Aula concessa e poi revocata, la conferenza sulle Foibe si fa lo stesso: a Verona, in Università arrivano "una trentina di esagitati", con caschi e mazze. La parola agli studenti, la risposta del rettore

Una conferenza prima concessa e poi revocata, a meno di 24 ore dalla data pattuita, con una comunicazione diretta al professor Romagnani, colui che ha firmato il beneplacito per l’invito ad Alessandra Kersevan, storica slovena e tra i fondatori del gruppo di ricerca Resistenza Storica, nell’incontro organizzato dai collettivi studenteschi Pagina 13 e Studiare con Lentezza, previsto per lo scorso 12 febbraio al Polo Zanotto dell’Univesrità degli Studi di Verona. “Non posso esimermi dal dichiarare la mia viva contrarietà ad una simile iniziativa – avrebbe così spiegato la scelta del rettore Alessandro Mazzucco – collocata a ridosso dalla giornata in cui si è celebrato a livello nazionale un ricordo che, comunque lo si valuti, è profondamente doloroso per tante persone ancora viventi. […] La programmazione dell’evento in soggetto ha suscitato, non solo in Verona, una serie crescente di reazioni e di tensioni”.

La scelta dei ragazzi dei collettivi, e degli altri partecipanti (almeno una quarantina), che in accordo con la dottoressa Kersevan decidono comunque di organizzare l’incontro. “L’aula era stata revocata soltanto 24 ore prima – ci racconta la dottoranda Sonia Trovato, che prima di parlare premette comunque di non aver assistito di persona alla vicenda ma di aver partecipato sia all’assemblea del 13 febbraio che al presidio del 18 – per via mail, e non con un atto di ufficio. I ragazzi hanno cercato un'aula libera, sono stati cacciati dal primo piano insieme a chiunque fosse dentro, è stato tutto chiuso a chiave. Sono comunque riusciti a recuperare un’aula abbastanza spaziosa al piano terra. Immediatamente è stata staccata la corrente,ma la conferenza è andata avanti lo stesso. Non ci è voluto molto che venisse poi staccata la corrente a tutto il piano, compresa l’aula disabili”.

La cosa non finisce qui, ovviamente. L’incontro prosegue, dura più di mezzora, poi da fuori arrivano dei boati. “Così’ mi hanno detto – continua Sonia – una trentina di esagitati sono arrivati con caschi e mazze, hanno prima tentato di entrare nell’aula in cui si teneva la conferenza, hanno gridato ‘Tito boia!’, poi sono corsi in giardino a fare una specie di dimostrazione con striscioni e cori. In esterno c’era più di una camionetta della polizia: nessuno si spiega come siano potuti entrare”. Lo scontro sembra inevitabile, in realtà le porte vengono sbarrate, gli “esagitati con i caschi” fanno un po’ dentro e fuori, un po’ di spray e qualche fumogeno in corridoio, dopo una ventina di minuti arriva la polizia e gli squadristi scappano.

“Tutto era cominciato ben prima – ancora Sonia – quando nel Consiglio Comunale di domenica 10 febbraio CasaPound e Blocco Studentesco erano intervenuti lamentandosi dell’incontro previsto in Università, definendolo un evento oltraggioso”. In effetti le pressioni sembrano aver sortito il giusto effetto, mentre CasaPound con un comunicato parlava di “indottrinamento politico accolto e promosso dall’Università”, accusando il polo di Via San Francesco di offrire “un pessimo insegnamento in materia di libertà e di confronto”. Dopo il ‘fattaccio’ la stampa locale ha parlato di “scontri tra collettivi”, e la bufera non si è placata: alla campagna di mail bombing verso il rettore Mazzucco quasi di contralto ha fatto seguito la “richiesta pressante” di sgombero dell’auletta occupata da Spazio Zero.

 “Ce ne sarebbero di cose da raccontare su quello che succede da tempo in università – ci spiega invece Michele, studente prossimo alla laurea – Vuoi un esempio? La pregiudiziale antifascista è scritta nella Costituzione, e ribadita nello Statuto universitario. Nonostante ciò il preside della ex facoltà Lettere e Filosofia due anni fa aveva concesso tra le protesta un’aula a CasaPound e Blocco Studentesco, con presente Iannone (leader di CasaPound). Proteste o no, il rettore ha detto che ormai il permesso era dato, e non si poteva fare più niente. L’aula alla Kersevan invece viene revocata 24 ore prima! Capito cosa succede? Il rettore, il preside di dipartimento e il direttore amministrativo sono complici in tutto questo”.

Il presidio organizzato da Pagina 13 e Studiare con Lentezza non sarà certo l’ultimo atto della vicenda. Ci sono dei punti da cui non prescindere, fanno sapere proprio dal collettivo: “La sostanziale continuità tra l’azione istituzionale e quella squadrista, […] con la costruzione pubblica di un nemico contro cui scagliarsi, legittimando di fatto l’aggressione nei confronti dei partecipanti all’evento. L’asservimento della stampa locale al potere politico. Il disordine, di cui riteniamo responsabili il rettore Mazzucco e il direttore amministrativo Salvini. L’imbarazzante assenza di qualsiasi comunicazione ufficiale di scuse per l’accaduto. La paradossale, infame e ingiustificata rappresaglia delle istituzioni accademiche nei confronti di Spazio Zero”.

A Verona non si parla d’altro, quasi. “Ci risulta incomprensibile – hanno detto dall’Istituto Veronese di Storia della Resistenze e dell’Età Contemporanea – il divieto opposto, con argomentazioni e con metodi a dir poco discutibili, alla conferenza della ricercatrice Alessandro Kersevan. Le posizioni di una studiosa sono e devono essere oggetto di dibattito, ma non sono certo tali da dover essere tacitate con la forza”. Sul tema, chiaramente, anche la stessa Kersevan: “In questi anni ho fatto centinaia di conferenze. […] Ma mai era ancora successa la concomitanza così evidente fra le urgenze repressive dell’istituzione e l’azione diretta degli squadristi di Casa Pound e degli altri gruppi neonazifascisti”.

Poco prima di pubblicare ci arriva la risposta ‘diretta’ del rettore Alessandro Mazzucco, pronto a chiarire “in via definitiva la vera dinamica dei fatti, sistematicamente stravolta”. Della prima lettera uno stralcio in apertura, in seguito, prosegue il rettore, “si sono moltiplicate nel corso del pomeriggio non solo le sollecitazioni, anche da parte di personalità istituzionali, ma anche notizie della organizzazione di proteste, sulla natura delle quali i responsabili delle forze dell’ordine esprimevano fortissime preoccupazioni”. Qui la decisione di “sospendere, e non di annullare l’incontro”, non un divieto ma “una sospensione motivata dalla necessità di prevenire incidenti i cui rischi sono stati posti in evidenza da quanto poi avvenuto”.

E ancora, “strabiliato dalla constatazione della distorsione dei fatti a tal punto da suggerire l’impressione che le manifestazioni di violenza verificatesi possano essere state promosse dal mio provvedimento”. Infine, conclude, “voglio ribadire che la ragione della decisione era esattamente quella di prevenire il rischio di episodi di violenza, episodi verificatisi proprio a causa della mancata accettazione di quel provvedimento”. Ovvero la sospensione della conferenza.

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