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Cronaca Pisogne

Ladri sulla tomba del piccolo Marco: rubata la collanina regalata dal fratellino

Il furto è avvenuto al cimitero di Pisogne sulla tomba del piccolo Marco, uno dei cinque neonati morti nel reparto di terapia intensiva del Civile di Brescia tra il dicembre 2018 e il gennaio 2019

Quella collanina in legno con un ciondolo a forma di angioletto era appoggiata sulla tomba del piccolo Marco da quasi 9 mesi. Era un regalo del fratellino che non ha mai potuto incontrare, perché Marco dal Civile di Brescia non è mai uscito: è morto nel reparto di terapia intensiva neonatale, pochi settimane dopo essere venuto al mondo.

L'ignobile gesto

Un pensiero che mamma Denise e il figlio maggiore Alessandro avevo comprato insieme per quel bimbo, tanto desiderato e atteso, che non hanno potuto veder crescere. Un modo per stare comunque vicino a Marco e per dimostrare che l’amore non finisce, cambia soltanto forma.

Una collanina che ora non c’è più. Qualcuno l’ha strappata dalla tomba del piccolo, che si trova al cimitero di Pisogne. Il furto della vergogna, presumibilmente, è avvenuto tra domenica e martedì e non è nemmeno l’unico. Pare che anche da altre lapidi siano spariti oggetti e pensieri. Niente che abbia valore, dal punto di vista economico, ma che ha un peso incommensurabile per i familiari dei defunti, come le macchinine sparite dalla tomba di un altro bimbo. 

Ad accorgersi che la collanina era sparita è stata la mamma del piccolo Marco: martedì mattina, come fa quasi ogni giorno, è andata a salutare il suo angioletto. La prima reazione è stata quella di condividere la propria rabbia su Facebook, inviando un messaggio direttamente all’autore dell’ignobile gesto. Poche parole piene di collera che molti hanno trovato condivisibile. “A te che hai rubato la collana dalla lapide di mio figlio, ti auguro di provare solo un decimo del dolore che proviamo noi! Mi fai schifo!".

La morte di Marco

Rabbia, giustificabile e più che comprensibile, che si aggiunge al dolore inimmaginabile per la perdita di un figlio appena nato. Una morte per la quale mamma Denise Malavicini e papà Andrea stanno ancora cercando spiegazioni. Marco era nato prematuro, alla trentesima settimana, con un taglio cesareo. Un piccolo guerriero che nei primi giorni di vita aveva subito un pneumotorace, poi aveva dovuto lottare contro un’infezione rivelatasi poi fatale.

“Ma ad oggi io non conosco quale sia stata la causa della grave infezione batterica che avrebbe portato al decesso di mio figlio e nemmeno quale sia stato il batterio responsabile della sua morte”,  spiega mamma Denise. Oltre a Marco, in quegli stessi giorni, erano morti altri 4 neonati prematuri, di cui due avevano condiviso la stessa stanza. Era stata avviata un’inchiesta da parte della procura di Brescia, ma anche della Regione Lombardia.

La ricerca della verità

Una tragica "sequenza di eventi che non ha carattere epidemico, ma si configura come una successione di casi sporadici non correlati fra loro né dal punto di vista clinico, né da quello epidemiologico” aveva concluso la Commissione di verifica regionale istituita dal direttore generale dell'Ats di Brescia, Claudio Sileo. Stesso esito per le indagini della procura, chiuse alla fine di agosto: secondo gli inquirenti -la morte dei neonati non è da imputarsi alla struttura ospedaliera, ai medici, a contagi o infezioni diffuse all’interno del reparto e sarebbe stata chiesta l’archiviazione del caso.

“Apprendo dai giornali che l’inchiesta è stata archiviata - ci racconta Denise - ma io non ne sono a conoscenza e nemmeno il mio legale. Abbia chiesto spiegazioni in procura e non ci risulta che il giudice abbia optato per l'archiviazione. Anche perché, se così fosse, avremmo diritto ad accedere a tutti i fascicoli, compreso quello dell’autopsia di Marco, per fare le nostre valutazioni e dipsorre le perizie del caso. Ci hanno consegnato solo una parte dell'esame autoptico, perché il resto era coperto dal segreto istruttorio. Io non voglio cercare un colpevole, so che medici e infermieri hanno fatto il possibile per salvare Marco, ma voglio solo capire cosa è successo a mio figlio: conoscere la verità ed escludere altre ipotesi”.

Una ricerca che va avanti da mesi: “Mi sento impotente e oltre che con il dolore convivo con una paura tremenda: io non posso escludere che ad aggravare la situazione clinica di mio figlio magari possa essere stata anche una malattia genetica ereditaria che, qualora decidessi di fare un altro bimbo, potrei trasmettere anche a lui. Non potrei mai sopportare un altro calvario simile."

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