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Cronaca Pisogne

Sebino, chiazza oleosa di mezzo km: «Siamo tornati indietro di 50 anni»

La testimonianza di un 'locale', a Pisogne da una vita: "Una volta si beveva l'acqua direttamente dal fiume, con le industrie è cambiato tutto". Legambiente attacca: "I sindaci bravi solo a sottovalutare il problema"

Una macchia scura e densa dalla dimensione sorprendente, quasi 500 mq, che immediatamente allertato i locali residenti (anche i pescatori) e pure gli ambientalisti del Basso Sebino, sul lago d’Iseo “una densa chiazza oleosa giunta probabilmente dal fiume Oglio o dal canale parallelo”. All’altezza di Pisogne l’ennesimo e durissimo colpo all’ecosistema lacustre camuno, una costanza in negativo che ha caratterizzato non gli ultimi anni, ma gli ultimi decenni, all’insegna di un controllo che si avvicina a zero, per una situazione che se era critica un tempo non può non esserlo anche oggi.

Non si tratta di un allarme provocatorio, urlato e non ragionato. In fondo basta farsi raccontare una storia, che comincia negli anni ’60 e che sembra non essersi ancora conclusa. “Mi ci vuole un piccolo sforzo di memoria, mi ricordo ancora tutto – racconta a BresciaToday un certo Mario, che a Pisogne ci vive da quando è nato, 60 anni fa e più – Quando si andava a pescare sull’Oglio, un fiume davvero pieno di pesci, per dissetarsi potevamo addirittura permetterci di chinare la testa e bere l’acqua direttamente. Ogni paese aveva poi una sorta di piccolo lido, un’ansa di spiaggia in cui le famiglie si trovavano il sabato o la domenica, per prendere un po’ di sole e fare anche un tuffo”.

Sebino: macchia d'olio

L’inquinamento, questo sconosciuto. Poi, l’industrializzazione accelerata che ha coinvolto la Valcamonica intera: l’industria chimica, il tessile, le ferriere. “In poco tempo sono apparsi diversi cartelli, tra di noi le voci circolavano. Il fiume Oglio è inquinato, nel fiume ci buttano dentro di tutto. In tanti si ricordano ancora i ‘turni’ di scarico delle varie fabbriche: era facile accorgersene, il fiume si riempiva di macchie o di schiuma, centinaia di pesci venivano a galla, morti”. La maturazione capitalistica segue linee guida storiche che nessuno ha ancora smentito: grandi investimenti, grandi capannoni e grandi industrie, nessun controllo ambientale. Come successo in Francia o Inghilterra quasi un secolo fa, come accaduto in Italia tra gli anni ’50 e ’60, come capita ancora adesso nei (tanti) Paesi emergenti.

“In paese tutti sapevano – continua Mario, che preferisce non rivelare il suo nome – come credo che sapessero le autorità, i sindaci, i partiti. Tutti sapevano chi e quando scaricava nel fiume o nel lago. Tutti sapevano ma tutti stavano zitti”. Una critica per così dire ‘storica’ che torna attuale dopo la nuova segnalazione firmata Legambiente. “Il lago continua ad essere considerato un luogo dove riversare rifiuti di ogni tipo – ha detto infatti Dario Balotta – Per contrastare questi comportamenti serve un’efficace presenza delle forze di polizia, a partire dalla motovedetta dei Carabinieri”.

“Non basta fare i prelievi – conclude – lontano dai punti critici, un po’ come fa l’ARPA ogni anno. Serve un’attenzione e una tutela dell’ambiente lacuale, mentre i sindaci sottovalutano il problema”. Sono passati 50 anni e allora non è cambiato nulla. Riducendone ovviamente la portata prendiamo in prestito le parole del presidente francese Francois Hollande: “La fisionomia del potere può cambiare. La realtà invece no”.

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