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Cronaca

Gli Indiani di Brescia: «No a sconti per i marò, spetta a noi giudicarli»

Sul caso dei marò arrestati per aver ucciso due pescatori indiani, Dilzan Singh, funzionario della Cgil di Brescia, dove vive una delle comunità più popolose, è convinto che, "se li processano in Italia, escono subito di prigione"

"I militari italiani dovrebbero essere giudicati dallo Stato indiano. Se li si lascia in mano alle autorità italiane c'é il rischio che vengano giudicati con maggiore e forse troppa indulgenza". Ne è convinto Dilzan Singh, funzionario della Cgil di Brescia, dove vive una delle più popolose comunità indiane.

Sono circa 15 mila gli indiani, al 31 gennaio 2010, per il 90 per cento di religione sikh, occupati in agricoltura, e arrivati dal nord dell'India, in particolare dal Panjab. Una regione lontana dall'oceano, dove poco o mai si sente parlare di pirati e di assalti armati alle navi mercantili. Non deve stupire, quindi, che la grandissima parte degli indiani residenti nel bresciano, che di quella zona è originaria, non abbia sentito parlare della morte dei due pescatori indiani scambiati per pirati, uccisi per errore dai marò italiani a bordo della petroliera Enrica Lexie.

Dilzan Singh che dal suo ufficio della Camera del Lavoro ogni giorno entra in contatto con decine di connazionali, spiega: "Anche se vivono stabilmente in Italia, come molti altri stranieri, tanti indiani mantengono vivo il legame con il proprio Paese d'origine attraverso la tv, guardando i telegiornali del Panjab. E nelle news di quello stato non si è evidentemente ancora parlato dell'incidente della scorsa settimana".

Comprensibile, in una nazione fatta di oltre un miliardo e 173 milioni di abitanti. "Tanti miei conoscenti - ha precisato Singh - non sapevano neppure del problema dei pirati nelle acque indiane". Ma Singh, così come altri suoi connazionali con cui ha avuto modo di confrontarsi, sulla vicenda si è fatto un'idea ben precisa: "I militari italiani dovrebbero essere giudicati dallo Stato indiano. Se li si lascia in mano alle autorità italiane c'é il rischio che vengano giudicati con maggiore e forse troppa indulgenza".

"'Se li processano in Italia i militari escono subito di prigione, mi hanno raccontato tanti amici e conoscenti" ha detto Singh. Ciò che traspare, insomma, è il desiderio di giustizia: "Non vogliamo che fatti del genere si ripetano anche in futuro. Devono essere fatte chiarezza e giustizia individuando e punendo i colpevoli. E a decidere con fermezza devono essere le autorità indiane".

All'oscuro della morte dei due connazionali e delle frizioni diplomatiche tra Italia ed India anche Tar Singh, presidente dell'associazione religiosa "Gurdwara Singh Sabha" e principale custode del più grande tempio sikh d'Italia che si trova a Flero, nel bresciano: "Non ne so nulla - ha detto, aggiungendo con tono preoccupato - è una cosa davvero brutta. Spero si risolva presto".

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