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Cronaca Milzano

Uccise la moglie (e madre di 3 figlioletti), niente ergastolo: "E' stato un raptus, si è pentito"

Rese note le motivazioni della sentenza che ha condannato a 24 anni di carcere Gianluca Lupi

Sono passati quasi due anni dal brutale omicidio: quattro coltellate inferte con violenza inaudita, tre all'addome e la quarta al collo, che si è rivelata fatale. Così Gianluca Lupi uccise la moglie Zsuzsanna Mailat, 39 anni, la sera dell'8 maggio del 2020 nella loro casa di Milzano: la giovane donna (e madre di tre figli piccoli, di cui uno disabile) era conosciuta da tutti come Susy, e la sua unica colpa sarebbe stata quella di voler interrompere la relazione con Lupi, avviando le pratiche per la separazione.

Niente ergastolo: condannato a 24 anni

Il marito è stato condannato a 24 anni di carcere e non all'ergastolo. Questo perché, come riferito dal presidente della Corte d'assise di Brescia Roberto Spanò, il brutale omicidio non fu premeditato, e vanno considerate alcune attenuanti tra cui – si legge nelle motivazioni della sentenza rese note in questi giorni – le vicissitudini pregresse ma che non portarono mai ad altri atti di violenza, la difficoltà (condivisa) nell'accudire un figlio disabile, la convivenza forzata dovuta al primo lockdown, perfino il ruolo definito “corrosivo” dell'amico di Susy, di cui Lupi era assai geloso, convinto che i due avessero una relazione.

Esclusa l'infermità: "E' stato un raptus"

Nella sentenza vengono perlomeno escluse tutte le ipotesi di parziale infermità o incapacità di intendere e di volere, come invece aveva suggerito la difesa dell'uomo. Ma niente ergastolo, così è deciso: si è trattato di un raptus estemporaneo, scrive la Corte, a cui è subito seguito il pentimento: “Vi è stata un'evidente e incolmabile asimmetria tra l'azione omicida e il motivo che l'ha occasionata – si legge nelle motivazioni di Spanò –, tuttavia non può affermarsi, attesi lo stato di prostrazione in cui viveva l'imputato in preda a una ridondante ruminazione ideativa, l'estemporaneità del raptus e la disperazione provata immediatamente dopo, che la sproporzione del gesto abbia costituito il mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale [...]. Si è dunque in presenza, dal punto di vista dell'imputato, di una motivazione certamente illogica e criticabile, ma non per questo vacua e banale”.

“Non vi è nel vigente sistema – scrive ancora il giudice – un insuperabile argine normativo che imponga alla Corte di appiattirsi sull'equazione uxoricidio-ergastolo, né potrebbe esservi, alla luce dei principi di proporzionalità e offensività su cui trova fondamento il potere discrezionale del giudice della determinazione della pena”.  

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