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Cronaca

Maxi crack Marenco: nei guai anche tre poliziotti bresciani

Tra le 51 persone indagate per la colossale bancarotta fraudolenta del gruppo, facente capo a Marco Marenco, ci sono anche un ispettore e due poliziotti bresciani

Un crack finanziario di dimensioni enormi, secondo solo a quello della Parmalat, che tocca anche la nostra provincia, quello messo in luce dalla Guardia di Finanza di Torino e Asti che ha indagato sul fallimento delle società facenti capo a Marco Marenco. 

Crack di oltre 4 miliardi di euro

Gli indagati - ben 51 - sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di una colossale bancarotta fraudolenta ai danni di 12 aziende del gruppo, operanti nei settori dell’import-export di gas naturale e della produzione di energia elettrica. L'inchiesta ha fatto emergere un crack societario di oltre quattro miliardi di euro, nonché condotte distrattive per circa un miliardo e 130 milioni di euro.

I poliziotti indagati

Tra le persone iscritte nel registro degli indagati ci sono anche 4 bresciani, che si occupavano di gestire la sicurezza di Marco Marenco e dei suoi famigliari: si tratta di tre poliziotti e di un 48enne di Orzinuovi (A.B. le iniziali). Secondo gli inquirenti, per eludere le indagini, alcuni responsabili del crack, utilizzavano dispositivi telefonici criptati e si avvalevano  anche della collaborazione di pubblici ufficiali. Indagati - a vario titolo per corruzione, favoreggiamento e accesso abusivo nel sistema informatico del Ministero degli Interni - V.P., ispettore 52enne della Questura di Brescia; l'assistente 43enne L.Z e G.Z., 45enne assistente della Stradale.

Il sistema Marenco

Le indagini hanno evidenziato che il denaro, le partecipazioni e i beni sottratti venivano impiegati in operazioni infragruppo e successivamente trasferiti all’estero, mediante compravendite fittizie. Le attività imprenditoriali esercitate dalle società nel frattempo indebitate o fallite venivano proseguite da nuove aziende, appositamente costituite e intestate ad amministratori e manager vicini all’imprenditore. Queste ultime, vere e proprie 'scialuppe di salvataggio', erano a loro volta controllate da numerose società estere che, come 'scatole cinesi', componevano il complesso sistema di frode. Nel corso dell’inchiesta sono stati anche sottoposti a sequestro preventivo beni per un valore complessivo pari a 107 milioni di euro (63 al solo Marenco).

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