Coronavirus, medico di Bergamo: "Come in guerra, dobbiamo scegliere chi curare e chi no"
Il quadro della situazione ospedaliera tracciato da uno dei medici costantemente in prima linea per fronteggiare l'emergenza: ”Voi non immaginate cosa succede qui dentro. State a casa".
Non sono le solite bufale che girano su Facebook e Whatsapp. I medici degli ospedali lombardi stanno fronteggiando un'emergenza sanitaria senza precedenti in tempi recenti ed è vero che sono costretti a scegliere tra i pazienti da salvare e quelli da lasciare andare: non tutti quelli che lo necessitano possono essere intubati: chi ha scarsissime possibilità di superare la fase critica viene lasciato fuori dalla Rianimazione.
A confermarlo, in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, è Christian Salaroli, anestesista rianimatore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, uno dei nosocomi più colpiti dall'emergenza, trovandosi a pochissima distanza da uno dei 'focolai' dell'epidemia, quello di Alzano Lombardo.
Il dirigente medico, come i colleghi, sta affrontando una situazione paragonabile solo ad una guerra: combatte in trincea, come centinaia di operatori sanitari. Il professionista racconta cosa accade nello stanzone, con venti posti letto, allestito all'interno del Pronto Soccorso e che viene utilizzato solo per eventi di massa.
"È qui che viene fatto il triage, ovvero la scelta. Si decide per età, e per condizioni di salute. Come in tutte le situazioni di guerra. Non lo dico io, ma i manuali sui quali abbiamo studiato", spiega .
Lì posso stare solo le persone che hanno la polmonite da Covid-19 e sono affette da insufficienza respiratoria. In buona sostanza i contagiati in situazioni più critica. I pazienti vengono prima di tutto messi "in ventilazione non invasiva", poi si attende il parere del rianimatore, che valuta in base a diversi criteri:
"Oltre all’età e al quadro generale, il terzo elemento è la capacità del paziente di guarire da un intervento rianimatorio. Questa indotta dal Covid-19 è una polmonite interstiziale, una forma molto aggressiva che impatta tanto sull’ossigenazione del sangue. I pazienti più colpiti diventano ipossici, ovvero non hanno più quantità sufficienti di ossigeno nell’organismo".
Non tutti vengono intubati
Infine la difficile scelta: "Siamo obbligati a farlo. Nel giro di un paio di giorni, al massimo. La ventilazione non invasiva è solo una fase di passaggio. Siccome purtroppo c’è sproporzione tra le risorse ospedaliere, i posti letto in terapia intensiva, e gli ammalati critici, non tutti vengono intubati. Diventa necessario ventilarli meccanicamente. Quelli su cui si sceglie di proseguire vengono tutti intubati e pronati, ovvero messi a pancia in giù, perché questa manovra può favorire la ventilazione delle zone basse del polmone".
Nessuna regola scritta, si valuta caso per caso: "Per consuetudine, anche se mi rendo conto che è una brutta parola, si valutano con molta attenzione i pazienti con gravi patologie cardiorespiratorie, e le persone con problemi gravi alle coronarie, perché tollerano male l’ipossia acuta e hanno poche probabilità di sopravvivere alla fase critica”.
Per fare un esempio "Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi - spiega ancora il medico - . Se ha una insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato. Anche questa è una frase terribile. Ma purtroppo è vera. Non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli. È la realtà".
Valutazioni che si fanno anche in tempi non di crisi, ma di certo non con la stessa frequenza: "anche in tempi normali si valuta caso per caso, nei reparti si cerca di capire se il paziente può recuperare da qualunque intervento. Adesso questa discrezionalità la stiamo applicando su larga scala."
Medici costretti a decidere dalla sorte dei pazienti
Una situazione insostenibile per tutti: "Alcuni ne escono stritolati. Capita al primario, e al ragazzino appena arrivato che si trova di prima mattina a dover decidere della sorte di un essere umano. Su larga scala. È come per la chirurgia di guerra. Si cerca di salvare la pelle solo a chi ce la può fare. È quel che sta succedendo.".
L'unica soluzione per ora è quella di rispettare le indicazioni del governo, della Regione e i numerosi appelli dei medici: "State a casa. State a casa. Non mi stanco di ripeterlo. Vedo troppa gente per strada. La miglior risposta a questo virus è non andare in giro. Voi non immaginate cosa succede qui dentro."