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Cronaca

Veleni nel parco, discarica illegale da 130.000 metri cubi: c'è anche il Pcb

Indagati due funzionari pubblici, sequestrati mezzi e terreni

Ci sarebbe anche il Pcb bresciano smaltito con la terra contaminata del Parco Parenzo di Brescia nella discarica di rifiuti di Villa Agnedo, nel Comune di Castel Ivano, provincia di Trento, sequestrata mercoledì dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico: per l'accaduto risultano indagati due dirigenti provinciali, che avrebbero autorizzato ulteriori conferimenti violando le norme di legge. Questo nonostante nel frattempo l'area dell'ex discarica fosse integrata nel Parco ambientale del Brenta, dove questo tipo di azioni e progettazioni non sarebbero possibile. Il Gip del Tribunale di Trento ne ha disposto il sequestro preventivo, al termine di un'attività d'indagine durata circa due anni.

Il sequestro

I carabinieri del Noe, il Nucleo operativo ecologico di Trento, coadiuvati nella fase esecutiva dai militari dei Noe di Venezia e Treviso e dal Comando Provinciale di Trento, con il supporto aereo di un equipaggio del Nucleo Elicotteri Carabinieri di Bolzano, hanno eseguito un provvedimento emesso dal Gip del Tribunale di Trento che ha disposto il sequestrato preventivo della discarica di rifiuti non pericolosi di Castel Ivano, frazione di Villa Agnedo, inserita nel “Parco Ambientale del Brenta” (area a tutela ambientale, ubicata alla confluenza del fiume Brenta e dei torrenti Maso e Chieppena).

Il provvedimento è stato emesso a seguito della richiesta dei pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia di Trento, che hanno coordinato un’indagine volta a contrastare attività continuative ed organizzate nell’ambito dei fenomeni di criminalità ambientale e scaturisce da una serie di verifiche effettuate su alcuni conferimenti di rifiuti contenenti policlorobifenili (PCB), provenienti dalla bonifica del Parco Parenzo Sud-Ovest di Brescia.

Le indagini

Le attività investigative, condotte dal Noe e supportate dal Dirigente Generale dell’Appa (Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente) della Provincia Autonoma di Trento, anche attraverso specifiche attività ispettive, hanno consentito di documentare come il sito, avviato nel 1993 quale discarica per rifiuti non pericolosi, avesse terminato l’attività di smaltimento nel 2005, con esaurimento della capacità ricettiva e collocazione in fase post-operativa, in cui nessun altro conferimento di rifiuti era possibile.

Con due successivi provvedimenti accertati essere del tutto illegittimi, attuati da altrettanti dirigenti dell’Appa ritenuti consapevoli della divergenza dei loro atti dalla normativa in materia, era stato autorizzato il conferimento di nuovi rifiuti per la realizzazione della copertura e la riapertura di fatto della discarica, consentendo di procrastinare a tempo indefinito i termini per la chiusura del sito e recuperare ulteriori 130mila mc di rifiuti.

La quantità di rifiuti conferiti è stata considerata di particolare valore economico, in ragione del fatto che la loro composizione, dopo alcune verifiche, è risultata più contaminata rispetto ai limiti previsti per la destinazione urbanistica del sito. Oltre ai volumi di rifiuti conferibili, l’illegittimo iter autorizzatorio ha permesso di eludere le concentrazioni dei materiali inquinati, consentendo alla società che gestisce la discarica di conseguire un illecito guadagno economico.

Traffico illecito di rifiuti

I militari dell’Unità Speciale dell’Arma, oltre ad aver apposto i sigilli alla discarica realizzata tra il fiume Brenta e i torrenti Maso e Chieppena, che in assenza degli accorgimenti di legge per la tutela del suolo e delle acque, con l’apporto di nuovi rifiuti, pone un concreto pericolo di inquinamento ambientale, hanno sottoposto a sequestro penale anche i mezzi presenti in discarica, impiegati per il trasporto e la lavorazione dei rifiuti, oltre ad aver effettuare differenti perquisizioni, comprese quelle degli uffici dei dirigenti provinciali che hanno rilasciato le autorizzazioni.

Le posizioni degli indagati sono al vaglio della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Trento, coordinata dal Procuratore Distrettuale dottor Sandro Raimondi. Le ipotesi di reato riguardano le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, per aver intrapreso degli interventi in area a tutela ambientale e altro. I pubblici ufficiali sono ritenuti responsabili anche della divulgazione di informazioni d’ufficio".

Fonte: Trentotoday.it

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