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Cronaca Via Cerca

Ex cava Piccinelli e Cesio 137: acqua radioattiva dai rubinetti?

Un'inchiesta pubblicata giorni fa su Il Manifesto rilancia "il pericolo concreto e attuale" sulla possibile contaminazione della falda profonda della città di Brescia. La replica del Comune: "Modalità scorrette, urge rettifica"

Una città contaminata, ce lo siamo sentiti dire da ogni parte, ce lo siamo sentiti ripetere da dati ed esperti, Comitati e associazioni: “Brescia non sta bene – ha detto il dottor Celestino Panizza, membro dell’ISDE Medici per l’Ambiente – Troppe criticità per un solo territorio, e una situazione fuori controllo. Il rischio ambientale è concreto”. Tra le tante l’ex cava Piccinelli, proprio quella di Via Cerca dove le intenzioni dell’amministrazione da tempo parevano chiare, quella dove sarebbe potuto sorgere il nuovo stadio ma anche un polo logistico. Eppure ad oggi le certezze sono altre. “Incubo radioattivo nei rubinetti di Brescia – titolava l’inchiesta de Il Manifesto pubblicata lo scorso 28 ottobre e firmata da Andrea Tornago – Un veleno silenzioso e mortale che minaccia di inquinare per sempre la falda da cui attinge l’acqua una delle città più ricche del Paese. Sotto un sottile strato di terreno, nascosti e dimenticati in una cava dismessa, riposano 2mila metri cubi di scorie nucleari che rischiano di entrare in contatto con le acque del sottosuolo. Sono polveri di fusione dell’alluminio contaminate dal Cesio 137, un sottoprodotto della fissione nucleare che continuerà ad emettere radiazioni per i prossimi 300 anni”.

Una vicenda di cui si dibatte dal 1998, tra messe in sicurezza temporanee e cartelli appesi a metà, oltre ai teli in PVC che avrebbero dovuto fare da protezione e che invece, si legge ancora su Il Manifesto, “a distanza di 15 anni sono diventati così fragili che basta toccarli affinché si frantumino”. Sono anni che Comitati e associazioni chiedono qualcosa di più concreto, “l’avvio immediato delle opere di messa in sicurezza di quei siti considerati potenzialmente pericolosi” perché, nel caso specifico, “la falda superficiale è già contaminata in modo rilevante, e anche la falda inferiore corre questo rischio”.

Anche sul monitoraggio manca qualcosa, e ancora Tornago scrive che “c’è un buco di quattro anni nei campionamenti, tra il 2007 e il 2011, proprio nel momento in cui la falda di Brescia è risalita di quattro metri”. Mentre Gian Paolo Oneda, il geologo dell’ARPA, “non nasconde la sua preoccupazione”, a conti fatti “negli ultimi 10 anni almeno una volta una delle aree a maggior contaminazione dovrebbe essere andata sott’acqua”. Chiaro che dall’amministrazione comunale non la pensano così, e dopo il “terrorismo mediatico” o il “procurato allarme” rivolto ai Comitati in altre occasioni arriva anche la pronta risposta all’inchiesta del 28 ottobre, con un comunicato a firma dell’assessore Paola Vilardi.

Comunicato in cui si chiede, senza però specificare né autore né testata, “una rettifica dei contenuti” perché in questo modo si vuole solo “attirare l’attenzione e con modalità scorrette […] insinuando il dubbio che l’acqua che esce dai rubinetti delle nostre case sia o possa essere contaminata da radiazioni”. Eppure nel punto in cui la contaminazione è maggiore, “appena sotto i teli” in PVC, le polveri raggiungono oltre un milione di Becquerel per chilo, “più di 1000 volte oltre il limite di legge per i terreni”, ma è solo un angolo specifico, prosegue la Vilardi, si tratta di “un punto di massimo concentrazione” in un’area dove “i rifiuti radioattivi sono presenti con concentrazioni diverse” e che dunque “si è omesso di informare che in altri punti la concentrazione è molto inferiore”.

Ambientalisti ipocondriaci? “I dati parlano da soli – ha spiegato Carmine Trecroci di Legambiente – Ci sono analisi ASL e Arpa che sono inconfutabili. Il Comune ha parlato di messa in sicurezza ma le risorse assegnate sono talmente irrisorie che quasi fanno ridere. La questione Piccinelli va risolta, e in fretta: la bonifica della aree inquinate deve essere una priorità”. Una bonifica, si legge ancora su Il Manifesto, “sempre rimandata, e da tutte le giunte comunali”, e che dovrebbe costare almeno 10 milioni di euro. Poca cosa, secondo Legambiente, i 345mila euro stanziati dal Comune “per gli interventi di somma urgenza”, in attesa del “via libera definitivo agli interventi di messa in sicurezza e alla predisposizione del progetto di bonifica”.

E l’assessore Vilardi nella sua lunga replica chiama in causa i risultati delle analisi radiometriche targate Arpa del marzo 2012, analisi che “non hanno evidenziato la presenza di Cesio 137 in concentrazioni superiori ai livelli minimi rilevabili”, e che dunque il Giornalista (testuali parole, con tanto di maiuscola: in realtà pare un riconoscimento di autorità) non si sarebbe “né documentato e né aggiornato”. Niente di grave allora, tutto tranquillo sul fronte sud-est di Brescia? Forse no: “Anziché con un nuovo stadio – conclude Tornago su Il Manifesto – domani la città potrebbe risvegliarsi nel bel mezzo di un incubo radioattivo”.

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