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Cronaca Piazzetta Arturo Benedetti Michelangeli

Brescia e la bonifica necessaria: «Ci sono 25mila persone a rischio»

Prove di confronto con Taranto ma attenzione ai dati, "all'Ilva si produce il 90% della diossina d'Italia". Ma Brescia è città contaminata, "urgono interventi di bonifica immediata, dell'area Caffaro e delle discariche"

C’è chi sostiene che l’ambientalismo militante sia comunque derivante da una società industriale in declino, e che per forza di cosa si scontra con chi invece fa della continua industrializzazione l’unica risposta possibile al calo generalizzato del Prodotto Interno Lordo. Le recenti cronache italiane sembrano porre in essere tale definizione, soprattutto quando si parla di Taranto e di Ilva, della difesa dei posti di lavoro e della difesa dell’ambiente. Il decreto governativo può essere infatti interpretato come l’autorizzazione ministeriale alla prosecutio dell’inquinamento, oppure come la scelta necessaria per la prosecutio produttiva di un impianto più che strategico per l’Italia (e forse anche per l’Europa) da cui passa almeno il 70% dell’acciaio lavorato e distribuito in tutto il Paese.

Sabato mattina all’Auditorium San Barnaba un convegno sul tema, un tentativo di “utile confronto” tra la realtà tarantina e quella bresciana, che come abbiamo visto non se la passa proprio benissimo. Proprio nei giorni in cui l’associazione degli industriali della Valcamonica ha consegnato il premio come ‘industriale dell’anno’ proprio alla famiglia Riva, un premio che Legambiente ha definito “sconcertante”. Ma che si è detto in Corso Magenta? Il pediatra Fulvio Porta, specializzato in oncologia, ha parlato della necessità di “un registro dei tumori anche in Italia” per monitorare un’incidenza in continuo aumento, “un incremento ormai stabilizzato ma comunque costante” e in cui pesano “incidenze familiari, genetiche e ambientali” e, visto che di Brescia si parla, in cui i cosiddetti insulti ambientali “possono trasmettere un difetto genetico poi ancora trasmissibile anche ai figli”.

Sul confronto Brescia-Taranto, “una partita della morte”, il direttore di Arpa Puglia Giorgio Assennato e quello di Arpa Brescia Giulio Sesana, “la funzione civile delle agenzie, quasi un’attività di consulenza” ma che invece spesso “le imprese interpretano come una provocazione”, e soprattutto a Taranto dove “l’intervento della magistratura deriva da una carenza di norme”, a conti fatti l’unica soluzione è il metodo americano, “la valutazione del rischio sanitario in correlazione alle emissioni”. Perché “il rapporto ambiente/salute è fondamentale, e per avere una salute migliore serve un ambiente migliore”, dunque non è più un paradosso immaginare di “utilizzare al meglio tutte le nuove tecnologie con il fine di una performance ambientale migliorata”, oggi è il tempo di “produrre prospettive e non produrre e basta”, il futuro comincia dall’analisi complessiva, “valutazione degli elementi, definizione dei parametri e dei criteri di vulnerabilità, compatibilità degli impianti e analisi degli esiti, per qualunque opera in programma”.

Marino Ruzzenenti poi alza un po’ la voce, “nel confronto in negativo Brescia batte Taranto 4 a 0”, in città abbiamo “il disastro della Caffaro e il quartiere Primo Maggio contaminato per tre quarti, un intero pezzo di città (da 25mila abitanti) in questa terribile condizione”, quei cartelli che si rinnovano da 11 anni, “prati verdi ma che non possono nemmeno essere calpestati”, piccola ma grave parte “del contesto degradato della Pianura Padana”, e ancora la contaminazione, “il latte materno delle mamme bresciane a livelli mai visti nella letteratura internazionale, il benzopirene inquinante cancerogeno e subdolo ma purtroppo presente, e a Brescia sempre ignorato”. Ma allora, che fare? “Subito la bonifica, area Caffaro e discariche, poi la riduzione progressiva degli elementi inquinanti, e intanto prendere consapevolezza immediata dell’eccezionale gravità della situazione bresciana”.

Peccato per i costi, e lo ricorda anche il sostituto procuratore Federico Bisceglia che tra le righe non può che dire che le bonifiche si faranno ma chissà quando, “ora i soldi non ci sono”. Ma la condivisa preoccupazione, dati che sembrano inequivocabili, eppure a Taranto non c’è solo l’Ilva ma altri ‘giganti’, il cementificio e la raffineria, e intanto quella fabbrica che “produce tanta diossina quanto 8mila inceneritori, lavora per 3 milioni di metri cubi orari, produce il 90% della diossina rilevata in tutta Italia”. Diciamocela tutta, produzione in genere è sinonimo di inquinamento, ma il livello tecnologico è tale che esistono filtri adatti ad ogni emissione. Il problema di fondo è un altro e si chiama profitto, non solo l’acciaio è merce, lo è pure la forza lavoro: l’hanno detta giusta gli operai dell’Ilva di Genova, “noi e voi (lavoratori, ndr) uniti nella lotta per una società dove il lavoro sia un diritto, dove gli uomini non siano una merce, dove tutti siano liberi e uguali”.

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