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Cronaca Desenzano del Garda

Brai&Bei Mongol Rally, tra Mashad e Cang: «Religione e povertà»

Da Mashad a Cang, un’immersione di religione ed eternità, di povertà, di ospitalità. Dormendo in una ‘tana’, sullo stesso tappeto e con gli stessi vestiti, in attesa del Turkmenistan. Ulan Bator stiamo arrivando!

Il diario di viaggio, giorno dopo giorno e chilometro dopo chilometro, mentre le certezze da Occidentale quattro gnari partiti da Desenzano vengono scalfite piano piano, tra i templi religiosi e i copricapi che sembrano fatti apposta per la gente del luogo, la loro temporanea dimora che sembra invece una tana, oppure un rifugio, e il the più buono del mondo, bevuto nella poverissima Cang, tanto povera quanto ospitale. E dopo i visti è tempo di Turkmenistan.

Arrivati a Mashhad, seconda città più grande del Paese e principale centro religioso, ho come la sensazione di essere in una città tinta d’internazionalismo. Forse mi sto assuefacendo all'Iran, fatto sta che con l'ausilio di un buon taxista coi baffi raggiungiamo senza troppa fatica il vicolo cieco sul fondo del quale si incastra il Vali home stay. Vali sbuca dal vicolo, ci bacia e ci abbraccia sparluccchiando un po' di italiano, parla un inglese preciso e con un accento da manuale. Peccato che  la sua pronuncia, la sua gentilezza e la sua ospitalità, uniti all’abilità di  procurarci tre visti per il Turkmenistan in 12 ore,  non bastino a compensare le blatte che popolano il bagno e i letti nello scantinato, in tutto e per tutto simile alla tana di Bin Laden a poche ora dall'incursione delle forze speciali. Più che di casa c'e' aria di rifugio.

Il lato positivo di tutto questo sta nell'avere un assaggio di vita locale nuda e cruda, il lato negativo sta nel fatto che da due giorni dormiamo sullo stesso tappeto sul quale mangiamo, e addosso abbiamo gli stessi vestiti. E questo tappeto e' sul balcone. Fortunatamente e' come se il clima capisse la nostra situazione, e di notte siamo come rinfrescati da leggero venticello, in grado di ristorare noi e la Peggy giù nel vialetto, che almeno per un giorno avrà il suo day off. La mattina, dopo un'austera colazione andiamo in centro città, nell'attesa della convocazione del consolato turkmeno.

Vali ci porta nel suo negozio dove scopriamo che commercia e ripara tappeti. Ora si spiega la sua conoscenza delle lingue e soprattutto la sua sorprendente affabilità. In questo edificio a quattro piani ricolmo di rifugiati afgani e meraviglie di seta si respira un'arte vecchia come il mondo e spesso dimenticata negli sgabuzzini delle nostre case tra polvere e scatole di pattini mai utilizzati.

Esattamente di fronte a questo bazar s'impone il complesso dell’Holy Shrine, sede dell'Imam Reza, ottavo dei dodici Imam. A quanto pare 25 milioni di persone all'anno vengono in pellegrinaggio qui: tra i cortili e nelle moschee si sparpagliano studiosi, teologi e religiosi provenienti da tutto il mondo musulmano. Vi sono volti scolpiti da anni di preghiera. Un po' da blasfemo e un po' da occidentale consumista tutte le diverse tuniche e i  diversi copricapi dei vari paesi mi ricordano terribilmente Hogwarts. Ogni devoto mi sembra un alchimista, un insegnante di pozioni, uno sciamano. E' incredibile come certi lineamenti del volto di queste etnie  si siano adattati nel corso dei millenni ai turbanti e ai copricapi della tradizione.

Dopo aver fatto il pieno di religione, nel pomeriggio ci stipiamo in sei a bordo di un'altra cara e vecchia Saipa in direzione di Cang, un villaggio arroccato a 1700 metri sui monti intorno a  Mashhad. Nel fare trekking per arrivare al paese risulta evidente che qui la clessidra e' da parecchio che non vien voltata. L’accesso alle macchine e' vietato, più che altro impossibile dati i carruggi che si ramificano nel paese. Qui il mezzo di trasporto e' il mulo, o al massimo qualche temeraria motoretta che si arrampica ululando su di giri. La popolazione e' incredibilmente ospitale, e altrettanto incredibile e' la povertà, che osservando con più attenzione si tramuta presto in semplicità. Il paese vive di sussistenza, bestiame, erbe, frutta, mandorle e pistacchi bastano a sfamare donne e bambini mentre gli uomini lavorano nei grandi centri urbani. Dai balconi tra le montagne si sprigiona profumo di ciliegia selvatica lasciata a essiccare al sole. Qui l'acqua viene aperta solo di notte, eppure ce n'e' a sufficienza per bere tre volte di fila il the (o meglio chaj) più buono della mia vita, sul balcone di una famiglia che tra le mosche e la polvere non ha smesso di sorriderci e benedirci per il nostro viaggio, nemmeno per un secondo.

Mangiamo un paio di fette di melone bianco zuccherino che associato allo zucchero cristallizzato del chaj genera immediata iperglicemia. Un po' più in su c'e' il tramonto e nel vialetto un bambino con la maglia di Rooney calcia a piedi nudi una bottiglia tra I ciottoli. Domani, Turkmenistan!

Appassionato testo di Andrea Trolese
in collaborazione con il team al completo
Alessandro Bocchio
Filippo Maritano
Edoardo Maritano
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