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Coronavirus e allarme contagi nei mattatoi: "Ma quelli italiani sono più sicuri"

Mantenere la distanza nei mattatoi è impossibile. Si lavora fianco a fianco e i dipendenti sono spesso migranti che vivono in appartamenti sovraffollati. Cento positivi in un'azienda francese, ma per la Uila le aziende italiane del settore si sono mosse bene e per tempo

I nuovi ‘focolai’ potrebbero essere i mattatoi. In Francia questi luoghi di lavoro sono osservati speciali in questa fase di convivenza con il Coronavirus, dopo la recente scoperta di ben 100 lavoratori positivi in un mattatoio della cittadina di Côtes-d'Armor. Ora sono in quarantena, per 14 giorni. Un problema che non è solo francese. Anche tra i lavoratori dei mattatoi negli Stati Uniti ci sono migliaia di contagiati: in un impianto di lavorazione della carne nel South Dakota si sono registrati ben 1.000 casi. In 115 impianti di lavorazione 5.000 positivi e 20 morti su un totale di 130.000 lavoratori.

Stesso discorso in Germania dove circa 800 dipendenti dei grandi impianti di macellazione delle carni sono risultati positivi. Nel mondo sono ambienti ideali per la proliferazione di tutti i virus: mantenere le distanze è quasi impossibile e i dipendenti sono spesso migranti che vivono in comunità e appartamenti sovraffollati. 

E in Italia? Decine di casi sono stati riscontarti in un mattatoio pugliese, ma la situazione è totalmente sotto controllo. Succede a Palo del Colle, in provincia di Bari: il reparto di macellazione dello stabilimento Siciliani è stato chiuso, dopo che oltre 70 impiegati sono risultati positivi al virus. Tutti i contagiati sono stati posti in isolamento domiciliare, mentre gli altri sono in attesa di riprendere servizio.

"I mattatoi italiani sono più sicuri rispetto a quelli esteri - spiega all'Adnkronos Stefano Mantegazza, segretario generale di Uila (Unione Italiana dei lavoratori agroalimentari) -. A parte la struttura pugliese non ci sono stati altri casi, per fortuna. Tutto il settore ha risposto molto positivamente alla pandemia e può essere considerato un esempio per l'Italia che riparte su come coniugare insieme lavoro, flessibilità organizzativa, garanzie di sicurezza e tutela della salute". Quello pugliese è stato un caso isolato, quindi. "La situazione è subito rientrata - sottolinea il segretario generale di Uila Puglia, Pietro Buongiorno -. L'Asl aveva fatto tutte le verifiche e i lavoratori con tampone positivo sono stati posti in isolamento domiciliare. Sono rientrati solo i lavoratori con doppio tampone negativo, gli altri sono a casa in ferie".

Tempestivo l'intervento dell'azienda. L'area di macellazione, la più colpita, è stata messa in stand-by. "Non siamo ancora riusciti a capire perché si siano verificati questi casi - sottolinea Buongiorno - l'azienda e il nostro rappresentante sindacale ci hanno detto che i dispositivi di sicurezza sono sempre stati applicati, così come il controllo della temperatura all'ingresso. Bisognerebbe capire come mai c'è stato questo contagio in un numero così alto di lavoratori. E' chiaro che in uno stabilimento di lavorazione carni il mantenimento della distanza di sicurezza non è sempre facile". Ora, insieme alla Asl locale, è stato adottato un protocollo di sicurezza che ha stabilito la distanza tra un lavoratore e l'altro di un metro e ottanta. "E' un protocollo più stringente rispetto alle misure normali - osserva Buongiorno - bisognerà vedere come andrà alla ripresa delle attività di macellazione. Lo stabilimento non ha ancora riaperto a pieno regime e non possiamo misurare i risultati post intervento. Però siamo tranquilli perché c'è un monitoraggio continuo da parte degli organi ispettivi, quindi anche della Asl, e pieno rispetto delle regole".

Nessun rischio di contagio correlato al cibo. La Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, attraverso Marta Hugas, direttore scientifico dell’Autorità, mette le cose in chiaro: “Attualmente non ci sono prove che il cibo sia fonte o via di trasmissione probabile del Coronavirus. Le esperienze fatte con precedenti focolai epidemici riconducibili ai Coronavirus, come il Coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (Sars) e il Coronavirus della sindrome respiratoria mediorientale (Mers), evidenziano che non si è verificata trasmissione tramite il consumo di cibi. Al momento non ci sono prove che il Coronavirus sia diverso in nessun modo”.

Fonte: Today.it

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