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Coronavirus, in Lombardia si muore in casa: motivi (e responsabilità) di un fallimento

Emergenza sottovalutata, pochi tamponi effettuati, responsabilità politiche e deficit sulla sanità di territorio: cosa sta succedendo in Lombardia, epicentro dell'epidemia coronavirus

Coronavirus in Lombardia, le persone muoiono in casa: i motivi (e le responsabilità) di un fallimento

"I pazienti ci chiamano dicendo di star male, sono chiusi in casa, con sintomi da coronavirus. Facciamo quel che possiamo, è durissima. Avvisiamo il 112 ma spesso ci viene detto che non può essere garantita l'assistenza con l'unità mobile. Così le persone, non riuscendo ad arrivare in ospedale, muoiono sole in casa". La denuncia di alcuni medici di base delle province lombarde fotografa la situazione che si sta vivendo nella Regione epicentro dell'epidemia coronavirus in Italia.

Coronavirus, cosa sta succedendo in Lombardia

Cosa sta succedendo in Lombardia? Perché tante vittime? E perché si muore in casa, soli? I mezzi militari che a Bergamo portano via le bare sono l'immagine del dolore di una città che non riesce nemmeno a seppellire i propri morti. Ma sono anche l'ultima fotografia, straziante, di un dramma su cui occorre interrogarsi, e con urgenza, anche per cercare di limitarne le conseguenze disastrose da qui in avanti.

Se da un lato il sistema sanitario lombardo - il migliore in Italia per professionalità e strutture - sta operando in condizioni difficilissime con sforzi enormi e l'eroismo di medici e infermieri impegnati giorno e notte negli ospedali, appare evidente che il problema nasce a monte con le scelte forse troppo "morbide" della classe dirigente riguardo alle misure di contenimento, monitoraggio dei positivi e ricerca (tardiva) degli asintomatici. E con un sistema di sorveglianza medica attiva sul territorio non capillare, forse non all'altezza. 

Lo dice senza troppi giri di parole Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, in un'intervista su Il Gazzettino: "Abbiamo un deficit sulla sanità di territorio: non è confrontabile con quello di Veneto ed Emilia Romagna. Purtroppo ora ne abbiamo la prova. La struttura dei medici di medicina generale, che è il primo baluardo contro il contagio, è debole, troppo persone arrivano in ospedale troppo tardi e in pessime condizioni, devono essere intubate in terapia intensiva. Molte in ospedale non riescono proprio ad arrivare. Muoiono in casa: sono pazienti Covid 19 non censiti, che sfuggono ai radar della mappatura dei contagi. Solo in provincia sono 112".

E ancora: "Si fa fatica a dare assistenza con l'ossigeno, ad intercettare per tempo queste persone e in ospedale non c'è posto per tutti. Servirebbe una rete territoriale più forte, perchè quella che abbiamo non è all'altezza". Per Gori non c'è dubbio: "La gravità di quello che stava arrivando è stata sottovalutata da tutti noi, però era difficile avere la misura giusta".

Ma una misura giusta, forse, c'era è c'è. Il professor Andrea Crisanti, direttore dell'Unità complessa diagnostica di Microbiologia a Padova e docente di Virologia all'Imperial College di Londra, parla di "fallimento" e di "emergenza sottovalutata". In un'intervista al Corriere della Sera dice: "Non riesco a spiegarmi come sia stato possibile sottovalutare le dimensioni dell'emergenza, quando erano sotto gli occhi di tutti: in Lombardia i malati saranno almeno 250mila, 150mila sintomatici e 100mila asintomatici, in Italia ne calcolo 450mila... altro che 60mila. L'unico dato certo riguarda i decessi. E' da lì che bisogna partire per sapere quanti sono realmente i contagiati. I numeri corretti sono purtroppo molto più alti di quelli che vengono diffusi e riguardano semplicemente i casi emersi e quindi hanno poco senso".

Si dice che il ceppo di nuovo coronavirus che si è diffuso in Lombardia sia più aggressivo di quello in Veneto e in Cina. "Ma vogliamo scherzare? - dice Crisanti al Corsera -. Non ci sono evidenze che il virus della Lombardia sia diverso da quello veneto. E dunque si deve ragionare su quelle percentuali".

"Vedo persone che muoiono a grappoli. Questo è un fallimento"

Crisanti rivolge parole dure alla classe dirigente del Paese e in particolare a chi governa la Lombardia: "C'è molta gente che accusa sintomi non gravi e potrebbe essere positiva. In Lombardia avrebbero dovuto iniziare 20 giorni fa a cercare gli asintomatici sommersi testando le categorie più esposte, per cerchi concentrici. E invece - accusa il virologo - non c'è stata alcuna sorveglianza epidemiologica. Vedo persone che muoiono a grappoli. Questo è un fallimento della classe dirigente del Paese. Troppi morti".

Gli esempi da seguire - attacca ancora il docente - c'erano: "Bastava mettere tutte le risorse possibili sui focolai iniziali, come hanno fatto in Giappone, Corea e Taiwan. E invece da noi fino a pochi giorni fa c'erano industrie attive con migliaia di dipendenti, penso soprattutto a Bergamo, per produrre beni peraltro non necessari. Abbiamo voluto difendere il Paese dei balocchi e l’economia anche di fronte alla morte".

La strategia di lotta al coronavirus in Veneto

Andrea Crisanti ha studiato con il governatore del Veneto Luca Zaia una strategia di lotta al coronavirus, sostenendo da subito la scelta dei tamponi anche ai malati asintomatici, partendo da tutti coloro che sono più a rischio di contagio. E' la strategia della sorveglianza attiva sul territorio e del contenimento e monitoraggio dei positivi, allargando i tamponi a raggi concentrici. Crisanti lo ha spiegato bene in questa intervista a Globalist.

"Questo parte tutto dallo studio di Vo perché abbiamo dimostrato che al momento del primo contagio abbiamo trovato che il 3% della popolazione era positiva. Che è una enormità. Una fetta ampia di queste persone era asintomatica. Non solo. Nel secondo screening abbiamo dimostrato che persone che vivevano con persone positive asintomatiche si sono a loro volta infettati. Quindi gli asintomatici tramettono il virus, non ci sono dubbi. E’ chiaro che una delle sfide che abbiamo in questo momento è trovare gli asintomatici oltre che preoccuparci e curare i sintomatici. Quindi noi vogliamo rafforzare la sorveglianza sul territorio. E fare quello che finora non si è fatto. Sorveglianza attiva sul territorio il che significa che se una persona chiama e dice io sto male, invece di lasciarla sola a casa senza assistenza senza niente, noi con la unità mobile della croce rossa andremo lì, faremo il prelievo alla persona, faremo il tampone ai familiari, faremo il tampone agli amici e al vicinato, perché è là intorno che c’è il portatore sano, è là intorno che ci sono altri infetti. Punto".

Il fatto che il tasso di letalità in Veneto (3,4%) sia decisamente inferiore a quello lombardo (oltre il 13%) si spiega, dice il professor Crisanti, proprio con il maggior numero di tamponi fatti che ha portato a dei risultati concreti: "Non è che in Lombardia si muore di più, il fatto è che il numero dei contagiati è molto maggiore, ma non sono rilevati. In Veneto il sistema sanitario locale di base ha tenuto. Sono perlomeno riusciti a fare la tracciatura".

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Coronavirus in Lombardia: medici di famiglia e task force per visitare a domicilio i sospetti malati

Dopo i ritardi, oggi in Lombardia si sta cercando di cambiare la politica in merito a tutti coloro che sono a casa, con alcuni sintomi, ma non hanno ancora fatto un tampone per il coronavirus. I medici di famiglia effettueranno un monitoraggio telefonico a tutti i loro pazienti in modo da avere una situazione più chiara. Una task force di guardia medica si dedicherà alle visite domiciliari per intercettare e isolare il più possibile i positivi. Ma rimane il nodo dei tamponi: i laboratori attivi possono processarne un "tot" al giorno, non di più, anche perché servono parecchie ore per avere il risultato. Si punta ad aumentare il numero dei laboratori autorizzati.


 
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