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Coronavirus, ex marito ricoverato: "Io e mia figlia coi sintomi, siamo abbandonati"

La denuncia di Sonia, 49enne di casa in città: “Mai state messe in quarantena da Ats: abbiamo vissuto nel terrore per settimane”

“Se siamo vive, dobbiamo ringraziare solo Dio”: c’è tanta rabbia e amarezza nella voce di Sonia, 49enne che lavora al Civile di Brescia come nel settore amministrativo. “Paghiamo le tasse ed è un nostro diritto essere curati, invece siamo stati ignorati e abbandonati”. La sua storia è tristemente simile alle tante che vi abbiamo già raccontato; per fortuna - stavolta - senza un finale drammatico.

Tutto comincia lo scorso 9 marzo, quando l’ex marito della 49enne viene ricoverato in ospedale a Gardone Val Trompia per una polmonite. Il tampone conferma che è positivo al Covid-19. Sonia, che solo pochi giorni prima aveva ospitato l’ex in casa per permettergli di passare del tempo con la loro figlia di 10 anni, comincia a non stare bene.

“Sia io che mia figlia avevamo la febbre e dei forti dolori muscolari.” Stessi sintomi, per entrambe: “Ci sentivamo molto stanche, ma non avevamo problemi respiratori. Ho seguito la normale procedura per i cittadini: ho chiamato il 112, il numero verde regionale, quello di Ats Brescia. Niente da fare, per me e la mia bambina non era possibile fare il tampone, nonostante il mio ex fosse positivo al virus. Mi hanno solo ripetuto di stare tranquilla, di continuare con la Tachipirina e di chiamare il 112 solo qualora non fossimo più riuscite più a respirare. Sono stati giorni terribili: ero sola con la mia bimba e avevo paura di quello che sarebbe potuto accadere. Per altro mia figlia ha avuto la febbre a 40 per diverso tempo e non scendeva nemmeno con il paracetamolo”.

Niente tampone e nessun monitoraggio per la 49enne e la figlia, come per l’altro figlio dell’ex marito: “Gli operatori del 112 mi hanno detto di considerarmi in quarantena, ma non è scattata nessuna procedura di controllo da parte di Ats. La cosa più assurda è che l’atro figlio del mio ex, che vive con lui, è stato messo in isolamento obbligatorio a domicilio solo dopo diversi giorni dal ricovero del padre: nel frattempo lui ha continuato ad uscire e pure ad andare a lavorare. Prima di Ats son stata io a chiamarlo per dirgli di stare a casa. Scaduti i 14 giorni di quarantena, è stato poi lui a telefonare per chiedere se potesse uscire: gli hanno dato il via libera senza prima effettuare un controllo per sincerarsi delle sue condizioni o fargli un tampone per verificare se fosse contagioso o meno. Tutto ciò è pazzesco.”

Aprile è quasi finito, ma Sonia è ancora malata: “Tre giorni fa dovevo rientrare al lavoro: sono assente da febbraio, perché prima avevo avuto dei problemi renali. Sabato mi è venuta di nuovo la febbre: ho chiamato la guardia medica e mi hanno detto di stare a casa, che poteva essere una recidiva del Coronavirus, che però non ho la certezza di avere mai avuto. Mi ha prescritto la terapia base per curare il Covid-19, ma poi ho sentito il mio medico di base che ha detto che i sintomi sono più simili a quelli di una tonsillite. A questo punto non mi resta che aspettare: prima di rientrare al lavoro sarò finalmente sottoposta al tampone, ma solo perché sono una dipendente dell' Asst Spedali Civili e la procedura aziendale lo prevede. Se fossi stata una cittadina qualunque non mi sarebbe mai stato fatto.”

Tutto sommato a Sonia e ai suoi familiari è andata bene: “Il mio ex marito è stato dimesso e sta aspettando l’esito del secondo tampone, mia figlia è guarita. Ma non si può negare che sia stato uno stermino: una mia amica ha perso entrambi i genitori in pochi giorni e la stessa sorte è toccata ai miei vicini di casa. La gestione dell’epidemia è stata un macello e dobbiamo far sentire la nostra voce e raccontare cosa non ha funzionato. Non oso pensare a cosa possa succedere se ci fosse una seconda ondata." Timori fondati, e condivisibili, quelli di Sonia, visto che all'avvio della tanto attesa Fase 2 mancano davvero pochissimi giorni.
 

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