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Post Referendum: in Valcamonica là dove l'acqua non si paga

La vittoria nei referendum sono l'apice di una lunga battaglia di sette piccoli comuni della Valcamonica che hanno lottato contro i poteri forti per non farsi portare via il loro bene più prezione: l'acqua pubblica

I risultati dei referendum dello scorso 12 e 13 giugno hanno detto inequivocabilmente che gli italiani vogliono l'acqua gestita dal settore pubblico. Un anno di battaglie, lotte dei comitati, associazioni e cittadini per dire che l'acqua non si vende, è un bene comune.

Nel Bresciano, nelle montagne della Vallecamonica, la vittoria dei sì ai referendum ha un significato del tutto particolare. E' la vittoria di un territorio, di una comunità montana, di quei comuni che nel gergo giornalistico vengono chiamati i folletti della montagna, i sette nani di Biancaneve.

Stiamo parlando die sette piccole realtà montane: Lozio, Breno, Cerveno, Paspardo, Cimbergo, Vione e Temù dove l'acqua è alla base della società fa girare i mulini, le centrali idroelettriche, ma dove per i cittadini rimane un bene comune che non si paga.

A inizio 2010 questi piccoli comuni hanno iniziato una battaglia dura e difficile contro i giganti della Regione Lombardia e delle città che volevano inserirli nell'Ato e far gestire l'acqua delle loro sorgenti dalla grandi società per azioni, sono stati definiti insieme a comuni maggiori come Sirmione e Adro i comuni ribelli. Non volevano ripetere l'esperienza della vicina Val Trompia dove si arrivò a mettere i contatori anche sulle fontane pubbliche.

Questi piccoli comuni sono stati commissariati nella gestione dell'acqua per non aver accettato di aderire all'autorità d'ambito provinciale per essere inseriti nell'ato nella gestione di un ciclo idrico integrato a tariffa unificata. In queste piccole realtà gli acquedotti sono comunali, manutenzione e messa in sicurezza sono a carico delle casse comunali e tutti i conti quadrano.

Cerveno è il paesino simbolo di questa realtà: è conosciuto come il paese dove "l'acqua non si paga" dove i cittadini, 700 anime, pagano 50 euro l'anno per allacci e depurazione senza tariffa a consumo e dove una targa in paese fa capire quanto sia il valore dell'acqua in queste realtà.  Una targa in onore del benefattore che lasciò tutti i suoi beni per costruire l'acquedotto che recita :"questa lieta borgata si arricchisce di pura saluberrima acqua".

I cittadini che dallo scorso hanno si sono riuniti con amministrazioni comunali e comunità montana in questi piccoli paesini avevano solo una convinzione: l'acqua da quelle parti è il loro unico diritto, in territori dove chi lavora si fa 200 chilometri per raggiungere le città e si alza all'alba per studiare.

I comitati e soprattutto i sindaci che hanno rischiato tutto per salvare la loro acqua, quella delle sorgenti, si sono posti contro i poteri forti della politica e dell'economia, non volevano vedere imposto un erogatore e un gestore dell'acqua senza possibilità di scelta e il referendum ha dato loro ragione, in queste realtà i picchi di affluenza hanno superato il 70% e per una volta il pesce piccolo ha mangiato il pesce grande.

 

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