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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Lonato: in 700 al palazzetto per dire no al gassificatore

Successo di pubblico per la serata organizzata dal Comitato Campagnoli, che si batte contro la variante d'ampliamento in biogas dell'impianto di trattamento fanghi di Castelvenzago

In centinaia e centinaia, quasi in 700. Al ‘vecchio’ palazzetto dello sport di Lonato, in occasione della conferenza organizzata dal Comitato Campagnoli per cercare di fare un minimo di chiarezza ‘pubblica’ su quello che a conti fatti è progetto di ampliamento, dell’impianto di trattamento fanghi già attivo proprio in località Campagnoli.. Una variante ‘espansiva’ con prima autorizzazione rilasciata lo scorso aprile, e aggiornamento nella stessa alla metà di luglio: un impianto di produzione di biogas composto da almeno otto silos (o fermentatori) dalla capacità di 4mila mc ciascuno, due cogeneratori da 1,5 Mw l’uno, un depuratore per le acque e un gasometro, una sorta di torcia alta 10 metri che brucerà il gas in eccesso.

In campo il Comitato Campagnoli, nato nel 2012 a Castelvenzago per “difendere i residenti dalle emissioni degli ambienti locali” perché, spiega il presidente Alberto Pace, “l’ambiente è un bene comune, e la sua tutela deve essere trasversale”. Prime azioni ‘pratiche’ per bloccare l’eventuale progetto un primo ricorso speciale, indirizzato addirittura al capo dello Stato, e un ciclo di osservazioni inviate alla Provincia, dopo aver partecipato (ma solo come uditori) all’ultima Conferenza dei Servizi, andata in scena ai primi di settembre.

Ma se il Comune di Lonato, e sulla carta anche le municipalità limitrofe, si dichiara contrario allo stesso tempo ammette, con le parole dell’assessore Nicola Bianchi, di non aver alcun potere decisionale perché chi decide, e per davvero, è solo la Provincia. Special guest di serata lo storico dell’ambiente Marino Ruzzenenti, impegnato in un lungo e praticamente infinito tour nelle terre bresciane, in difesa del territorio dai tanti “insulti ambientali”, armato di dati e letteratura scientifica.

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In particolare l’inquinamento della Pianura Padana, un’area già satura e che rientra tra i ‘peggiori’ d’Europa per quanto riguarda la qualità dell’aria, o il problema generale del Belpaese, lo Stato italiano che “non ha bisogno di produrre altra energia perché già in grado di produrne il doppio dell’attuale fabbisogno”. Altro che impianti a biogas, spiega Ruzzenenti, l’unica via per uscire dall’incubo delle emissioni è quella di abbattere le combustioni, magari con un piano generale: riconvertire le industrie, ridurre il traffico veicolare (e il trasporto merci), risparmiare energia eliminando in definitiva la produzione di energia per via termica.

Con lui anche il prof Michele Corti dell’Università di Milano: attenzione alle centrali, spiega, che spesso non presentano dati ‘reali’ sulle emissioni prodotte, anche perché le normative attuali prevedono addirittura una sorta di autocertificazione, e ai proponenti consentono pure di “schivare l’eventualità di una Valutazione d’Impatto Ambientale”. Non così anomali infatti, seppur in impianti di recente costruzione, incidenti e impatti certi sull’ambiente: dal mantovano al lodigiano, senza dimenticarsi della recente fuoriuscita di liquami proprio nelle acque del Garda, quando ancora da Lonato scoppiò la cisterna di un impianto biogas a Maguzzano.

Il progetto dei Campagnoli, nel cuore della campagna di Castelvenzago, a poche centinaia di metri da Esenta e Centenaro, ad un chilometro e mezzo (o poco più) dai confini di Castiglione e Desenzano. Nessuna necessità reale, ripetono in coro Ruzzenenti e Corti, piuttosto “la solita speculazione, la ricerca di un rendimento finanziario garantito, dai guadagni elevatissimi”. L’autorizzazione, se mai dovesse passare, prevede un ‘usofrutto’ a pieno ritmo dell’impianto di almeno un ventennio: altro problema in sospeso la possibile sovracapacità progettuale dell’impianto stesso.

Difficile immaginare infatti che a fronte di una capacità produttiva di 11 milioni di metri cubi annui il proponente si accontenti di lavorare a regime ridotto: 210mila tonnellate di fanghi infatti manco bastano per arrivare a 6 milioni di mc di biogas prodotti. A colmare la mancanza, spiegano gli esperti, potrebbe essere “un altro rifiuto e di diversa matrice”, per un ciclo complessivo di emissioni composto per di più da “sostanze inquinanti che fanno da precursori ai PM10”, e un ‘peso’ reale di nuovi inquinanti pari “ad un anno intero di emissioni in tre chilometri di tangenziale”.

Ma ogni business nasconde dietro sé interessi precisi: non esiste azione politica fine a sé stessa, c’è sempre un qualcosa d’economico. Che pare evidente nell’odissea delle centrali a biogas, protagoniste di un vero e proprio boom in Lombardia e non solo, dal 2011 ad oggi: quasi 400 impianti sul territorio regionale e, chiosano dal comitato, “le responsabilità del Pirellone sono gravissime”.

In sala poi gira anche un nome, il deus ex machina del contestato progetto. In molti lo ripetono a bassa voce, nessuno però ha il coraggio di nominarlo alla luce del sole: non sia mai che quei “maledetti interessi” si stiano già intrecciando troppo velocemente, e che la battaglia sovracomunale di cittadini e ambientalisti (la “paura” e il “sospetto” arrivano fino a Calcinato e Padenghe) non debba partire con un handicap di per sé fastidiosissimo.

Di certo è solo un inizio, e visto il pienone del palazzetto un inizio niente male. In attesa della nuova Conferenza dei Servizi, per cui già si discute il da farsi, e una raccolta fondi (con tanto di comizio ‘scientifico’ del noto Celestino Panizza) prevista per il prossimo 17 novembre. Ma prima c’è spazio per la politica: un sindaco e un assessore, un consigliere e un militante. Partiti e idee diverse, ma parole tutte uguali.

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