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Storie di una strage: Giulietta, la prof che voleva cambiare il mondo

Brescia, 28 maggio 1974: Giulietta Banzi insegna francese al liceo Arnaldo. La chiamavano 'la rossa', anche se sposata a un democristiano. Quel giorno era in piazza, per manifestare con il pugno chiuso

Il 28 maggio 1974, una storia fatta di storie. Di vite spezzate, d’improvviso, da quella bomba ‘maledetta’ di cui Brescia celebra l’amaro ricordo, a 40 anni dalla strage. Come la vita di Giulietta Banzi, professoressa di francese al liceo Arnaldo. In piazza, quel giorno, perché si manifestava, assieme ai tre figli Alfredo, Guido e Beatrice, di quattro, sei e nove anni.

Con il pugno chiuso, di cui lei certo non si vergognava. Lo usava a scuola, in classe. Un po’ per rispondere ai professori ‘bigotti’, vecchio stile. Un po’ per spronare i ragazzi, perché a stare fermi certo le cose non cambiano. Lo usava a casa. Per rispondere a suo marito, Luigi Bazoli che ai tempi era assessore cittadino, ma democristiano. Forse l’amore che va oltre la politica. Almeno quella elettorale.

Severa ma giusta, raccontano di lei i suoi studenti. Quasi pendevano dalle sue labbra, per il suo modo di fare. Ai ragazzi dava addirittura del ‘lei’, fino a che non riusciva ad accendere la discussione. Poi, di punto in bianco, manco fosse la Barcellona del 1936, cominciava a dar loro del ‘tu’, e voleva lo stesso in cambio.

Al suo funerale fu il marito a rompere le regole, per una volta. Oltre ai familiari, ai parenti stretti, riuscì a portare i suoi ‘compagni’, con tanto di bandiere rosse. Il ‘suo’ colore, il colore di Giulietta ‘la rossa’. Come la sua macchina, come il suo maglione. Come il suo cuore.

Hanno scritto di lei i suoi studenti, nell’assemblea del 1° giugno 1974: “Sappiamo bene quali fossero l’intelligenza e la generosità della compagna Banzi, che abbiamo avuto a fianco in tutte le nostre lotte. […] Ha dedicato la sua vita al servizio degli umiliati e degli offesi, sacrificando senza risparmio le sue forze e il suo tempo in un impegno politico vissuto a parte intera. Viveva per la causa di chi è vittima”.

E poi, del suo funerale: “Giulietta era proprio così. Non per nulla dietro la sua bara veniva, simbolo sacro del dolore e della speranza del mondo, una semplice bandiera rossa”. E di lei ha scritto anche il professor Gianluigi Berardi, insegnante di liceo, ancora nel 1974.

Chi non ha sofferto, chi non ha ancora capito il valore della testimonianza e del martirio di Giulietta e dei suoi compagni, chi ancora rispolvera la menzogna logora degli opposti estremismi per difendersi dal contagio della chiarezza, chi vuole che siano morti invano, è fuori dalla storia, e dalla vita”.

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