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Cronaca

Azienda e dirigenti a processo, ma ai familiari della vittima nessun risarcimento

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di BresciaToday

Nemmeno un rinvio a giudizio "plurimo", con pesanti addebiti di responsabilità mossi dal Sostituto Procuratore all'azienda e ai suoi vertici, è bastato ai familiari di Matteo Canta per ottenere un equo risarcimento per la perdita del proprio caro, ennesima vittima sul lavoro: a tre anni dalla tragedia - l'anniversario ricorre proprio in questi giorni - non hanno percepito ancora un euro alla compagnia di assicurazione dell'impresa e hanno dovuto intentare una causa civile per il tramite del servizio legale di Studio 3A, la società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità civili e penali, a tutela dei diritti dei cittadini, a cui si sono rivolti per ottenere giustizia attraverso la consulente Daniela Vivian.

La morte a cui è andato incontro il cinquantaseienne operaio, residente a Sarezzo, nel Bresciano, è stata terribile. Canta, impiegato nello stabilimento di Sarezzo delle Acciaierie Venete, con sede legale a Padova, l'8 maggio 2013 stava operando nel reparto laminatoio e stava effettuando con altri colleghi un intervento manutentivo sull'impianto di laminazione per la rimozione di un incaglio. Mentre la squadra addetta al treno di laminazione, comprensiva dello sfortunato lavoratore, operava per il riavvio della gabbia di laminazione numero 17, veniva contestualmente scoperchiata la fossa presente sul pavimento per rimuovere, mediante carroponte, il contenitore ormai pieno di spezzoni metallici, onde posizionarvene uno di nuovo e vuoto. E' stato appunto in questo frangente che Matteo Canta, a causa dell'assenza di segnalazioni e di protezioni contro la caduta, è precipitato all'interno della fossa contenente quasi un metro d'acqua ad altissima temperatura, subendo ustioni di tale estensione e gravità (di terzo grado sul 90 per cento del corpo) da non consentirgli di sopravvivere: è spirato dieci giorni dopo, il 18 maggio 2013, nel Centro Grandi Ustionati dell'ospedale di Verona, dov'era stato trasferito dall'ospedale civile di Brescia nel disperato tentativo di salvarlo.

Le indagini sull'incidente hanno messo in luce gravissime responsabilità che hanno portato il Pubblico Ministero che segue il fascicolo, il dott. Carlo Pappalardo della Procura di Brescia, a chiedere il rinvio a giudizio per omicidio colposo, oltre che per l'azienda nel suo complesso, per quattro figure apicali a vario titolo coinvolte nell'infortunio: il Direttore Generale dello stabilimento di Sarezzo, Massimo Bramati; il dirigente responsabile del processo di laminazione, Claudio Zanoni; il responsabile del laminatoio, Gilberto Paoli; il capo-turno dell'area-laminatoio, Giovanni Bressanelli. I quali, scrive il Pubblico Ministero, "cagionavano la morte del lavoratore Matteo Canta per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché nell'inosservanza di (svariate, ndr) norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro".

In particolare, il Pm sottolinea come "la vasca-fossa di raccolta degli spezzoni metallici, in corrispondenza della cesoia CV60 del treno intermedio, prossima alle gabbie di laminazione n. 16 e n. 17 del treno finitore, risultava priva su tutto il contorno di parapetti fissi o di altre opere provvisionali, atti ad impedire la caduta accidentale all'interno della fossa nella fase in cui la copertura metallica doveva essere necessariamente rimossa per l'estrazione e la sostituzione della cassa colma degli spezzoni. Al contrario, dopo la rimozione della copertura non veniva mai adottata alcuna misura di sicurezza equivalente ed efficace contro la caduta né alcuna segnalazione di pericolo ed il personale operava da sempre con la fossa completamente accessibile e priva di qualsiasi presidio. L'assenza, altresì, di un sistema di discesa e risalita nella fossa (una scaletta) impediva a Canta di sottrarsi da solo al contatto con il liquido ustionante e rendeva difficoltoso il suo recupero da parte dei colleghi, prolungando la sua permanenza nell'acqua ad elevata temperatura ed aggravando, conseguentemente, le lesioni".

Ancora, il dottor Pappalardo evidenzia come gli indagati "non pretendevano il rispetto della disposizione aziendale contenuta nel documento di valutazione dei rischi, che prevedeva l'apposizione delle protezioni provvisionali o di segnalazioni di contorno della fossa all'atto di rimozione della copertura", "sottovalutavano il rischio di lesioni per caduta nella fossa e di ustioni per contatto con acqua ad elevata temperatura, con la conseguenza che risultavano inadeguate le relative misure di prevenzione e protezione", "non veniva predisposta una procedura di lavoro specifica", e altro ancora.

Il provvedimento ha coinvolto anche l'Ente Acciaierie Venete "perché - rilevata l'inidoneità per la prevenzione dei reati di cui agli art. 25 septies d.lgs 231/01, del modello di organizzazione e gestione di cui l'azienda risultava dotata, nonché la mancata attuazione delle procedure organizzative in esso previste e la vigilanza insufficiente esercitata dal relativo Organismo di Vigilanza -, non impediva la commissione del reato di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro in danno di Canta Matteo".

Il procedimento a carico degli imputati è già partito e lo scorso 6 novembre si è già tenuta l'udienza preliminare avanti il Gup, dott. Cesare Bonamartini, conclusasi con un rinvio richiesto dal legale degli indagati. Tuttavia, pur a fronte di un quadro così schiacciante, il figlio, la moglie e due sorelle della vittima non hanno ancora percepito un euro di risarcimento dalla compagnia di assicurazione della controparte, la Aig, per la perdita del loro caro e per le sofferenze patite. Particolare, in tal senso, la difficile situazione vissuta dal figlio Angelo, che lavora nella stessa azienda e nello stesso reparto del padre e che ogni giorno è costretto a passare più volte davanti alla vasca dov'è caduto il genitore, e dunque a rivivere l'incubo: circostanze, queste, che gli hanno causato un profondo stato d'ansia e che configurano anche un danno esistenziale importante.

"Di fronte al rifiuto della compagnia di assicurazione di riconoscere un equo risarcimento ai familiari di Matteo Canta, Studio 3A, oltre all'azione penale già in essere, ha dovuto avviare, per il tramite del proprio servizio legale, anche un'azione civile per conto dei propri assistiti che quindi adesso, come non bastasse la tragedia a cui hanno dovuto fare fronte, dovranno anche rivivere quel dramma in una causa dai tempi inevitabilmente lunghi e incerti - spiega il Presidente di Studio 3A, dott. Ermes Trovò - Reputo scandaloso che le compagnie assicurative, che ogni anno chiudono gli esercizi con milioni di euro di utile, lesinino anche il centesimo nei risarcimenti, tanto più in casi come questo in cui vi è una morte bianca causata da un quadro di omissioni e negligenze sconcertante. Ci batteremo con ogni mezzo per rendere giustizia a questa famiglia, convinti in questo modo di dare anche un contributo, più in generale, alla sicurezza negli ambienti di lavoro: solo toccando le imprese nei propri bilanci si riuscirà piano piano a far capire loro che investire in formazione e sicurezza conviene, alla salute e all'incolumità dei propri lavoratori, così come ai propri bilanci".

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