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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Piazza della Loggia

Brescia, Strage della Loggia: tutti assolti, «una vicenda da affidare alla storia»

La Corte d'Assise d'appello di Brescia ha confermato ieri l'assoluzione in primo grado dei quattro imputati dell'ultimo processo per la strage del 1974. "Vicenda da affidare alla storia", ha detto il pm Roberto Di Martino, che aveva chiesto l'ergastolo

La verità sulla strage di Piazza della Loggia si allontana sempre più, in una dissolvenza incrociata di tre inchieste a carico prima di neofascisti bresciani, poi milanesi, infine ordinovisti veneti; di undici sentenze senza che si sia trovata la verità, a quasi 38 anni da quella mattinata piovosa del 28 maggio del '74 in cui furono uccise otto persone e altre cento rimasero ferite dall'esplosione di una bomba nel corso di una manifestazione antifascista promossa dai sindacati nel cuore del dibattito politico della città lombarda.

I giudici della Corte d'assise d'appello di Brescia, dopo quattro giorni di camera di consiglio, hanno impresso un doppio sigillo all'assoluzione dell'ex ispettore per il Triveneto di Ordine nuovo, il medico veneziano Carlo Maria Maggi, dell'ex ordinovista, ora imprenditore in Giappone Delfo Zorzi, dell'ex collaboratore del Sid, Maurizio Tramonte e del generale dei carabinieri Francesco Delfino, nei giorni dell'eccidio capitano, comandante del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia e accusato di aver saputo della strage imminente e di averla assecondata.

Per loro il procuratore Roberto di Martino ("vicenda da affidare alla storia", ha detto) e il pm Francesco Piantoni avevano chiesto l'ergastolo; per il fondatore di ON, Pino Rauti, assolto come gli altri in primo grado, la Procura non aveva fatto appello e quindi non ne aveva chiesto la condanna. I giudici, sulla scorta di un uso che ha preso piede ormai da qualche tempo, hanno condannato tutte le parti civili al pagamento delle spese processuali.

Una cifra che sarà modesta, poiché di attività istruttoria che comportasse costi non ne è stata fatta, ma che suona comunque come una beffa per chi per tutti questi anni ha chiesto incessantemente giustizia. I parenti delle vittime hanno accolto la sentenza con compostezza, quasi con rassegnazione, in un'aula in cui è sceso il gelo.

Della loro amarezza si è fatto interprete Manlio Milani, presidente dell'Associazione famigliari delle vittime, che il 28 maggio del '74 perse la moglie, Livia Bottardi, e che si batte costantemente per cercare la verita' (negli ultimi due dibattimenti supportato anche da una schiera di giovani avvocati che ha sudato sulle centinaia di migliaia di pagine dell'inchiesta). "Una beffa, è ridicolo, permettetemi di dirlo, che in questi processi che sono contro anche due uomini che rappresentavano lo Stato, si debbano anche pagare le spese processuali".

Il riferimento è al parlamentare Rauti e a Delfino che si occupò inizialmente delle indagini: "E l'esito di oggi è anche il risultato di come sono state condotte le prime indagini", ha aggiunto Milani con la consueta, tenace mitezza. Rimane uno spiraglio, prima che il sipario si chiuda sull'ennesima strage impunita italiana: è ancora aperto un fascicolo alla Procura dei minori e un altro alla Procura dei maggiorenni.

Sono nati dalle dichiarazioni dell'ex ordinovista Giampaolo Stimamiglio che ha parlato di un neofascista veneto, allora diciassettenne che avrebbe avuto un ruolo operativo nella strage. Un procedimento, però, che appare complesso, anche perché, per il fatto che un minore non può essere condannato all'ergastolo, è a rischio prescrizione.

"Dal punto di vista storico i fatti sono acclarati" e per gli attentati "a partire dalla primavera del 1969 sino al 1974, cioé sino alla strage di Brescia" si è trattato "di una stagione eversiva innescata da una matrice chiara" con "la manovalanza per lo più fascista", ha dichiarato il senatore Giovanni Pellegrino, dal '90 al 2001 presidente della commissione Stragi, aggiungendo che ''almeno fino al tentato golpe Borghese è chiara anche la presenza di mandanti istituzionali, che a un certo punto si ritirarono lasciando soli i neofascisti".

Nonostante ciò per Piazza Fontana, ma vale anche per l'attentato di Brescia, già prima di lasciare l'incarico Pellegrino aveva suggerito di procedere all'archiviazione dei processi ancora aperti: "Ci furono molte polemiche ma io lo feci per mettere al riparo la verità storica ormai acclarata dalla verità giudiziaria ormai impossibile da ritrovare". E anche perché "eventuali assoluzioni avrebbero fatto pensare che di quelle stragi non si sa nulla ma non è così".

Quanto alla verità giudiziaria "fino a quando il mondo è stato diviso in due blocchi non è stato possibile arrivarci". "Io - ricorda Pellegrino - ho parlato dell'esistenza di un patto di indicibilità. Anche Moro, secondo me, sapeva come erano andate le cose. Ma svelare la verità, in una democrazia fragile come era la nostra almeno fino al 1974, avrebbe favorito la reazione dell'estrema sinistra".

(fonte: Ansa)

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