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Fumata nera dall’inceneritore, tre indagati a Brescia

Dopo più di due anni di indagini emergono le prime responsabilità per la fumata nera del termoutilizzatore di Brescia, nell'agosto del 2012. Tre indagati ma che potrebbero cavarsela con una semplice multa

Ci sono voluti più di due anni di indagini e accertamenti, ma sembra che finalmente siano emerse le prime responsabilità per l’emissione di diossine nell’aria di Brescia, dovuta al temporaneo black out del termoutilizzatore, ancora nell’agosto del 2012. Nel fascicolo aperto dal pubblico ministero Claudio Pinto, ed ereditato dal collega Federico Bisceglia, comparirebbero infatti i nomi di tre indagati.

Secondo le prime analisi dell’Arpa, non vi sarebbe mai stata alcuna ricaduta sulla salute degli abitanti. Ma l’allarme diffuso tra i cittadini di Via Lamarmora e di San Polo forse non si è mai placato. Anche perchè, qualche mese più tardi, l'Arpa aveva appurato che in quell’occasione gli inquinanti emessi (diossina su tutti) erano ben oltre la norma consentita dalla legge.

Fino ad arrivare alla seconda fumata nera, questa volta datata 27 aprile 2014: A2A cercò subito di rassicurare e minimizzare. Fu sempre un'inchiesta dell’Arpa, lo scorso luglio, a lasciare invece ampi dubbi sulla nube inquinante di questa primavera: “Non sappiamo quante diossine siano uscite”.

Le indagini sono ora in dirittura d'arrivo, ma bisognerà aspettare ancora prima di conoscere l'identità degli accusati. Due le possibili condanne, in caso di colpevolezza accertata. Nell'ipotesi di una semplice violazione della norma, si prevede un’ammenda in denaro. Mentre, se fosse provato il danno ambientale, chi ha determinato tale pericolo è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza e di bonifica. Ripensando alla Caffaro e dintorni, sembra comunque pura fantascienza.

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