rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Piazza Tebaldo Brusato

La favola di Paraschiva: "Così ho messo in salvo la mia famiglia"

È arrivata a Brescia nel 2002 per trovare un lavoro e mettere in salvo la sua famiglia. Grazie alla sue abilità artigianali e alla sua determinazione è diventata un'imprenditrice. Ha 45 anni e da 10 gestisce la bottega "Alba" di piazza Tebaldo Brusato

BRESCIA. Paraschiva è una Cenerentola moderna e le scarpe, più che perderle, le crea nel retro della sua bottega artigianale di piazza Tebaldo Brusato. Grazie alla sua abilità nel plasmare la pelle e maneggiare il cuoio ha messo in salvo la sua famiglia. Non ha una fata madrina, ma ha le sue mani. E ha avuto il fegato di lasciare tutto - casa appena ultimata, famiglia, lavoro - per cominciare una nuova vita, compiuti 30 anni. Da Bistrița, Transilvania, regione storica della Romania. A Brescia, città industriale della Lombardia. 1.405 chilometri, 20 ore di pullman. 

Il marito Dani, tornitore, lavorava in una fabbrica di proprietà Turca. Faceva il sindacalista e non era ben voluto dai ‘padroni’. Era stato minacciato di morte.  “Se non avesse lasciato il sindacato, se la sarebbero presa con lui e con le nostre figlie - racconta  Paraschiva con gli occhi gonfi di lacrime -. Lui non ha voluto farlo, non voleva passare per vigliacco. Così,  io sono partita per venire a Brescia, dove c’era un mia amica. Mi viene ancora l’angoscia a ripensare alla quella partenza: le mie figlie sulla porta, la sensazione di non vedere mai più la villetta che avevamo impiegato anni a costruire.”

Paraschiva è arrivata con un visto turistico, nel 2002. Poco dopo ha cominciato l’apprendistato dal calzolaio di piazza Tebaldo Brusato - Domi, un artigiano albanese arrivato in Italia, su un barcone, negli anni ’90 -. In quel laboratorio, immerso nel cosiddetto ‘salotto buono’ della città, ha imparato i trucchi del mestiere. Pochi mesi dopo l’hanno raggiunta il marito e le figlie, che all’epoca avevano 8 e 11 anni. Paraschiva è diventata Cristina. 

“Non è stato facile - racconta immersa nei ricordi -. Non posso lamentarmi di Brescia, perché mi sono integrata. Dicono che i bresciani siano chiusi, ma non è vero; ho dei clienti che si fermano spesso a chiacchierare. Certo, all’inizio chiudevo le orecchie per non sentire certe offese. Ho dovuto portare pazienza, ma ora è tutto diverso. Ho imparato l’italiano in tre settimane, da autodidatta, guardando la televisione e leggendo. A volte mi scrivevo le frasi sulle mani. Le mie figlie sono cresciute in laboratorio e tutto quello che vedete - ci dice mostrandoci gli scaffali in legno circondati da imperiali colonne - lo ha fatto mio marito. Di giorno lavorava e la sera mi aiutava a mettere in piedi il negozio. Lui mi ha sempre sostenuta e io ho messo l’anima in questo negozio da quando, nel 2005, ne ho preso le redini. È stata dura ma ce l’ho fatta. Anche le mie figlie mi hanno sempre incoraggiata. Quando erano piccole, prima di metterle a letto gli raccontavo sempre una favola di mia invenzione. Una sera ero così stanca e preoccupata che ho chiuso la storia parlando di un affitto da pagare, ma che i protagonisti non potevano permettersi. Le mie figlie mi hanno fatto presente che i re e le regine non si devono preoccupare di queste cose, perché non devono pagare l’affitto. Poi mi hanno abbracciata. Quel momento mi ha dato la forza per continuare”.

Come tutte le favole, anche quella di Paraschiva ha un lieto fine: sua figlia più grande è diventata una stilista, quella più piccola studia Scienze Storiche all’università. Lei, come ogni mattina, alza la serranda della bottega “Alba” e con le sue mani magiche crea scarpe dal nulla.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

La favola di Paraschiva: "Così ho messo in salvo la mia famiglia"

BresciaToday è in caricamento