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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Arrestati 15 mafiosi bresciani: agivano anche con armi da guerra

La mafia lombarda in azione, con l'appoggio della 'ndrangheta calabrese: 15 arresti in terra bresciana, con accuse di usura, evasione fiscale, truffa, estorsione. Tra gli indagati anche imprenditori e funzionari di Poste e Agenzia delle Entrate

La mafia, o meglio la ‘ndrangheta, sotto casa. Nel cuore della Brescia che lavora e che produce. La provincia dei milioni di euro sottratti allo Stato, dell’evasione fiscale. Un terreno fertile per le cosche che lavorano a distanza, e che trovano chi il lavoro sporco lo sa fare molto bene.

Quindici gli arresti, a conclusione di una lunga serie di indagini operate da Guardia di Finanza e Carabinieri. Avvisi di custodia cautelare per chi gestiva un gruppo di società fittizie, intestate a vari prestanome, con l’intento dichiarato di truffare il fisco.

Con accuse di truffa, usura, estorsione, ricettazione e riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Ma anche trasferimento abusivo di valori, detenzione e porto abusivo d’armi. Quindici persone a cui l’accusa di associazione per delinquere comincia ad andare stretta.

Armati fino ai denti, secondo gli investigatori, per portare a termine missioni intimidatorie, nei confronti di imprenditori edili attivi non solo nel bresciano, ma in tutto il Nord Italia. Un vero e proprio arsenale, in cui non mancavano armi da guerra. Per un giro d’affari superiore ai 5 milioni di euro: questo quanto sarebbe stato sequestrato dalle forze dell’ordine tra beni mobili e immobili, abitazioni e automobili di lusso, fondi finanziari e proprietà.

A capo della ‘cosca’ bresciana un duo di insospettabili: un imprenditore di origini calabresi ma residente a Erbusco, Antonio Luppino. E un ex funzionario dell’Agenzia delle Entrate, Maurizio Musso conosciuto nell’ambiente come ‘Il Dottore’, che coordinava le operazioni finanziariamente più complicate.

Epicentro dei movimenti illeciti la Bam System, azienda che gestiva decine e decine di piccole aziende intestate a prestanome, che in cambio della loro compiacenza venivano pagati anche 2500 euro al mese. Società che duravano al massimo qualche anno, prima di fallire, lontano dai controlli del Fisco.

E in tanti chiudevano un occhio. Funzionari strapagati con mazzette da decine di migliaia di euro alla volta: da Poste Italiane a Veneto Banca. Qualcuno ha provato ad opporsi al loro agire mafioso. Ma veniva punito con agguati e minacce, addirittura sparatorie a negozi e aziende. Altro che Scampia, o lo Zen di Palermo. La mafia, o meglio la ‘ndrangheta, ce l’abbiamo davvero sotto casa.

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