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Nessun controllo sui familiari di morti e contagiati: così è dilagato il Coronavirus

Cosa non ha funzionato in Lombardia? Abbiamo provato a tracciare un quadro con i racconti di chi ha vissuto il contagio sulla propria pelle

In Lombardia i tamponi non sono eseguiti ai familiari dei malati, ma pure dei deceduti, per Coronavirus. Il sindaco di Gussago lo ha scritto nero su bianco, nella lunga missiva che martedì ha inviato al Presidente della Repubblica Mattarella e al Premier Conte. Una lettera accorata per inoltrare legittime richieste e denunciare gli errori commessi dalla Regione nella gestione dell'emergenza.

"In Lombardia non vengono sottoposti a tampone nemmeno i familiari dei ricoverati per Covid, che magari sono a casa che stanno male e non hanno notizie del proprio caro per giorni interi. E aggiungo che non solo non viene fatto il tampone, ma in molti casi nemmeno vengono sentiti telefonicamente da Ats per accertarsi sul loro stato di salute. E badate bene che capita anche se si ha un paziente deceduto per Covid in casa, anche se si mostrano evidenti segni della malattia: nessun tampone, nessun controllo, un’auto-quarantena e la speranza di non fare la stessa fine del proprio congiunto."

Le stesse preoccupazioni erano state espresse dalla vicesindaca di Brescia Laura Castelletti e dal sindaco Emilio del Bono. Parole che sembrano essere cadute nel vuoto, anche se qualcosa inizia a muoversi. Si è cominciato, a due mesi dall'inizio dell'emergenza, ad effettuare i tamponi a tappeto nelle Rsa e nelle Residenze per disabili. In queste ore i primi tamponi 'drive-in' vengono fatti ai dipendenti e agli operatori delle case di riposo, oltre che ai lavoratori di quelli che sono considerati “servizi essenziali”. Via libera - ma non si sa quando cominceranno - anche ai test sierologici ai cittadini in quarantena fiduciaria, ai soggetti sintomatici con quadri simil-influenzale, senza sintomi da almeno 14/21 giorni segnalati dai medici di base e dalle Ats, oltre che ai contatti di casi asintomatici o con sintomi lievi, identificati dalle Ats a seguito dell’indagine epidemiologica già prevista.

Resta però un forte dubbio o, meglio, una certezza: quello che durante il picco dell'epidemia non ci sia mai stato un tracciamento dei contagiati e dei loro contatti, a differenza di quanto avvenuto in Veneto; molte famiglie del Bresciano sono state totalmente abbondante a se stesse. Un timore non proprio infondato, come confermano tante storie che in questi mesi vi abbiamo raccontato.

Ricordate la vicenda, per fortuna a lieto fine, di Federico, 83enne di Nave che è riuscito a sconfiggere il Coronavirus? Il figlio 49enne, che gestisce una tabaccheria in paese, ci aveva riferito che né lui, né la madre erano stati sottoposti al tampone. Non solo: non erano mai stati messi in quarantena fiduciaria da Ats e il 49enne avrebbe potuto continuare a tenere aperta la sua attività e ad uscire per fare la spesa. Nessuno glielo aveva impedito: "Abbiamo saputo che il papà era positivo solo alcuni giorni dopo il ricovero, nessuno ci ha detto di stare in isolamento o chiusi in casa. Nel dubbio io avevo già deciso di chiudere la tabaccheria per precauzione e senso civico. Ciascuno di noi deve fare la propria parte, noi per primi, abbiamo ritenuto che questo momento andasse affrontato con responsabilità. Chiudendo ho anche rischiato di essere sanzionato dai Monopolio di Stato", ci aveva raccontato il tabaccaio.

È stato così anche per la sorella e per gli anziani genitori di Andrea Cottali, il 41enne di Mompiano che per ben due volte è finito in coma ed è stato intubato, ma ha lottato come un guerriero e ora è in via di guarigione. Sonia, madre di una ragazza disabile, aveva visto il fratello pochi giorni prima del ricovero al Civile di Brescia: né lei, né la figlia, né gli anziani genitori del 41enne sono mai stati sottoposti al tampone. Nemmeno una telefonata da Ats per accertarsi che non avessero sintomi e, anche per loro, nessuna quarantena imposta.
Si sono messi in isolamento da soli e hanno agito in totale autonomia, per prevenire possibili contagi in famiglia: "Per un periodo ha obbligato mio marito a vivere in mansarda, lontano da me e da mia figlia per paura di essere contagiosa. Non uscivo: era lui che faceva la spesa e si occupava delle faccende. Ma nessuno mi ha mai detto cosa fare, ho seguito il buonsenso e le indicazioni di massima lette sui giornali", ci ha spiegato Sonia.  

Non certo un caso isolato. Poche settimane fa avevamo raccolto lo sfogo e la denuncia di Roberta Festa, 40enne di Orzinuovi. La sua famiglia è stata letteralmente travolta dal Coronavirus: la madre - nota maestra del paese - è morta in ospedale dopo aver lottato conto il virus. Nonostante tutti i membri della famiglia avessero manifestato più di un sintomo del Covid-19, a nessuno di loro è mai stato fatto un tampone. Perlomeno sia Roberta sia il padre - a cui era stata poi diagnostica una polmonite - erano stati messi in quarantena, ma il periodo d'isolamento era stato conteggiato a partire dal giorno del ricovero della mamma. 

"In totale autonomia ho portato mio papà a fare una radiografia ai polmoni all'ospedale di Orzinuovi: aveva la polmonite - ci spiegò Roberta -. Decido di curarlo a casa, dato che respirava abbastanza bene, dopo aver consultato alcuni medici e virologi di mia conoscenza. Mi sono presa l’enorme responsabilità di non mandarlo in ospedale, con le ovvie conseguenze che qualora fosse peggiorato avrei avuto sulla coscienza questa decisione per il resto della mia vita. Io, il mio compagno e mio padre abbiamo perso totalmente il gusto e l’olfatto. Nel frattempo sono scaduti i 14 giorni di quarantena: ho chiamato io l’Ats per spiegare che forse non era il caso di terminare l'isolamento perché stavo vivendo con il papà. Me l'hanno prolungata, per altri 14 giorni, ma solo perché gliel’ho chiesto io al telefono".

Non sono solo i tanti casi eclatanti delle stragi avvenute nelle case di riposo a mettere in luce le lacune regionali nella gestione dell'epidemia. Ad ascoltare le testimonianze di chi ha fronteggiato in prima persona l'emergenza, non si ha proprio la sensazione che sia stato fatto il possibile per contenere il diffondersi del Covid-19; tutt'altro. Il virus è dilagato a macchia d'olio perché non è stata interrotta la catena dei contatti con i contagiati. All'inizio è comprensibile che nessuno fosse preparato, ma la malagestione - forse la più macroscopica della nostra, efficiente Lombardia - è continuata per troppo tempo: i tristi bollettini dei contagi e dei decessi sono lì a confermarlo: in Italia il 50% dei morti sono lombardi.

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